A Kobane è in corso una strage. I jihadisti dello Stato islamico (Isis) sono stati circondati dai combattenti kurdi in tre punti della città. Nell’ospedale Mishtenour a ovest del centro urbano sono ancora asserragliate decine di jihadisti. Nel ristorante Kildi, a due passi dall’ex ospedale cittadino andato distrutto negli attacchi dello scorso ottobre, ci sono tre uomini mascherati. Infine almeno cinque sono i cecchini di Isis posizionati sui tetti dei palazzi intorno piazza Azadi (libertà). «Uccidono ogni bersaglio mobile. Per questo tutti sono obbligati a rimanere asserragliati in casa», ci spiega Parwer, un giornalista locale.

Nella giornata di ieri i miliziani di Daesh hanno anche rapito decine di civili. Molti di loro sono stati usati come scudi umani dai jihadisti per ripararsi dagli attacchi dei combattenti kurdi. Fin qui sarebbero 152 i morti tra i civili, 37 tra i combattenti kurdi delle unità maschili e femmili Ypg-Ypj. Anche alcuni tra i poliziotti (asayş) sono stati uccisi o gambizzati all’inizio degli scontri prima che arrivassero i rinforzi dei Ypg, impegnati al fronte di Ain-Issa (50 km dalla roccaforte di Isis di Raqqa). Si contano poi centinaia di feriti.

I jihadisti erano entrati in territorio siriano da tre punti: dai villaggi orientali e meridionali (dove hanno ucciso almeno venti persone); e dalla frontiera turca nella notte tra mercoledì e giovedì scorso. Un video diffuso dal partito turco-kurdo (Hdp) ha mostrato l’ingresso e l’esplosione di un’autobomba dal posto di frontiera di Mur–sit–pi–nar. Tra i morti si contano decine di donne e bambini, come ci conferma il medico dell’ospedale Amal, Mohamed Arif che abbiamo raggiunto al telefono a Kobane. «I jihadisti hanno compiuto una strage. Hanno colpito casa per casa.

Continuano ad arrivare anziani, donne e bambini feriti e morti perché sono gli unici rimasti a Kobane», ci spiega il medico. «Non ci sono scontri diretti tra Daesh e combattenti kurdi Ypg-Ypj altrimenti le vittime civili aumenterebbero», aggiunge. Il medico di guerra non ha dubbi: i jihadisti hanno avuto il sostegno turco. «Un ferito che è stato portato qui e che abitava a due passi dal confine ci ha confermato che tutta la sua famiglia è stata uccisa mentre i turchi alla dogana hanno permesso ai jihadisti di entrare», rivela Mohamed.

Il confine tra Turchia e Siria resta chiuso anche soltanto per il passaggio dei feriti. Solo i più gravi sono stati fatti entrare. Oltre mille attivisti turchi, vicini ad Hdp, hanno svolto turni dal lato del confine turco di Soruç per sorvegliare le frontiere ed impedire l’ingresso di rinforzi per i jihadisti di Isis, come era avvenuto nei giorni scorsi.

La coalizione internazionale ha effettuato vari raid aerei a ovest di Kobane nella città di Jarabulus. Come ci confermava Avallat, poliziotto di asayş che abbiamo incontrato qualche giorno fa sulla strada per Khoshkar, villaggio sulla linea del fronte orientale, la città di Jarabulus è ancora completamente sotto il controllo di Daesh, come parte del cantone di Efrine. «Solo il 10% della popolazione è rimasto in città, il resto è in Turchia e ad Aleppo», ha aggiunto il poliziotto arabo che in passato lavorava a Damasco per al-Asad e ora combatte con i kurdi.

I combattenti Ypg-Ypj faticano a tenere il controllo dei territori che hanno conquistato nei duri combattimenti contro i jihadisti degli ultimi mesi. Se lo Stato islamico si è presentato in molti video di propaganda come il principale nemico degli accordi di Sykes-Picot (1916) e in guerra per ridisegnare i confini imposti dalle potenze occidentali in Siria e in Iraq, chi sta davvero scompaginando l’ordine stabilito, oltre le aspettative turche e dei kurdi iracheni, sono proprio i combattenti Ypg-Ypj.

Tuttavia anche a Rojava vengono commessi errori in questa fase straordinaria di costruzione nazionale sulla base dei principi di autonomia democratica teorizzati da Abdullah Ocalan: la completa sovrapposizione tra esercito e Stato. Per esempio, nel momento della conquista di Tel Abyad, i Ypg hanno sostituito la bandiera nera di Isis, issando il loro vessillo, quello di un esercito non di uno Stato. Questo è molto rischioso. Perciò la presenza nella città di Qamishli di poste, aeroporto e polizia stradale, controllati dall’innominabile (a Kobane) regime di Bashar, ricordano che nel Kurdistan siriano al-Asad è come un Big Brother che sta a guardare ma che in realtà è ancora l’unico Stato.