Mentre sistemavamo gli zaini nel bagagliaio del minivan venuto a prenderci per proseguire il nostro viaggio verso Leopoli, Lena e sua madre ci guardavano dal marciapiede. Ci eravamo conosciuti per caso qualche ora prima nella pensione, erano appena arrivate da Mykolaiv, dove hanno lasciato tutto.

Non conosciamo la loro storia, sappiamo solo che mentre le salutavamo la madre si è messa a piangere. Ci siamo avvicinati a lei e ci ha abbracciato. Non poteva credere che tornassimo verso i luoghi che l’hanno traumatizzata. «State attenti, vi prego», ha detto tra le lacrime con una voce carica d’affetto e apprensione. Non è semplice comprendere e raccontare come la guerra in qualche modo riesca a liberare un’umanità disarmante in chi la vive. Ma tant’è.

Con quest’immagine ci siamo messi in viaggio attraverso l’Ucraina occidentale. Nella notte i bombardamenti sono stati più intensi del solito, soprattutto nella parte orientale del Paese e a sud. Kharkiv, Okhtyrka, Sumy, Chernihiv, Poltava, Zhaporizhzhia e Kherson sono solo alcune delle città in cui la sirena è risuonata senza sosta.

Nella capitale, alle 4 del mattino, gli attacchi hanno illuminato il cielo notturno di un rosso acceso ma poi la situazione è rimasta stabile. Neanche stanotte c’è stato il temuto bombardamento a tappeto del centro. Del resto, per i russi bombardare Kiev sarebbe come colpire una loro città. Come distruggere un simbolo della storia russa, definito dallo stesso Putin «la culla della nostra nazione».

A Kharkiv e in tutto il nord-est, invece, i russi hanno alzato definitivamente il livello dello scontro dando la stura ad azioni molto più violente e d’effetto. Secondo fonti dell’esercito ucraino, tre scuole e la cattedrale dell’Assunzione sono state colpite duramente, così come la zona del municipio che ha riportato ulteriori danni dopo gli intensi bombardamenti di ieri.

Sempre qui una componente della missione speciale dell’Osce, Maryna Fenina, è stata sorpresa da un attacco improvviso ed è deceduta mentre consegnava rifornimenti di cibo alla propria famiglia. Una bandiera a lutto è stata issata di fronte alla sede generale dell’Osce a Vienna e in un comunicato l’organizzazione ha «denunciato le azioni militari russe contro l’Ucraina e fortemente condannato i bombardamenti nelle aree civili». A Okhtyrka, non lontano, decine di edifici residenziali sono stati distrutti dai colpi dell’artiglieria pesante.

Secondo la missione umanitaria di monitoraggio delle Nazioni unite, dall’inizio del conflitto alla mezzanotte del primo marzo almeno 752 civili sono stati uccisi in Ucraina. I profughi, invece, avrebbero raggiunto il milione di individui.

Posto di blocco dopo posto di blocco, a fine giornata ne abbiamo contati almeno venti, abbiamo attraversato villaggi e cittadine sferzate da una nevicata leggera ma incessante. Il paesaggio della campagna ucraina si sta di nuovo tingendo di bianco come due settimane fa, quando eravamo a Kharkiv per raccontare la situazione lungo il confine orientale.

«A ovest che ne sanno – ci aveva raccontato allora Bogdan – Persino durante il 2014 molti di loro continuavano a vivere la loro vita normalmente, come se non stesse succedendo niente. Vedrai che se le cose andranno male si rifugeranno tutti lì e sai cosa troveranno? Un sacco di gente che gli chiederà con l’aria sorpresa “come mai siete tutti qui?”».

Oggi possiamo contraddire questa profezia. I villaggi sono deserti esattamente come le città, più vicino al confine con la Moldavia gli uomini di guardia sulla strada provinciale non hanno neanche l’uniforme e in molti portano a spalla un fucile da cacciatore. Man mano che si sale, la situazione cambia: più militari, più organizzazione, fortini appena costruiti con blocchi di cemento, postazioni di tiro, trincee. In molti controllano anche i documenti nonostante il traffico qui sia più che altro locale.

I canali ucraini hanno iniziato questo ottavo giorno con un notiziario di guerra. Senza soffermarsi sui vari capitoli, la cifra che più colpisce è quella di 9mila militari di Mosca caduti in combattimento. Il giorno prima il bollettino ne segnalava 5.840. Non abbiamo possibilità di verificare queste cifre e non disponiamo di informazioni dalla controparte. Sappiamo per certo che poco dopo le 10.30 la contraerea ucraina ha abbattuto un caccia Sukhoi Su-30 vicino Kiev.

Mentre l’autista del minivan cercava di spiegare a un poliziotto vicino Ternopil cosa ci faceva sul sedile posteriore un giornalista che veniva dal confine moldavo e prima da Kiev, almeno così sembrava dalle poche parole che si distinguevano, è arrivata la notizia che Kherson, poco sopra la Crimea, era caduta. Le truppe russe hanno occupato il palazzo di governo dell’oblast (un territorio equiparabile per alcuni versi alle nostre regioni) e a darne la notizia è stata proprio il governatore locale, Hennadiy Lahuta.

Circa un’ora prima anche il municipio era caduto e il sindaco aveva negoziato le condizioni della resa, tra le quali spicca questo punto: «I cittadini potranno passeggiare all’aperto da soli o in gruppi massimo di due. Devono fermarsi quando i soldati russi lo ordinano. Non devono, in nessun modo, avvicinarsi alle truppe russe».

Più tardi, a nord di Ivano-Frankivs’k, bombardata stanotte, il traffico in entrata si incanalava nell’ennesimo sbarramento provocando una coda di almeno due ore e le agenzie diramavano la notizia che anche Odessa fosse sul punto di subire un attacco.

Navi da guerra russe sono state avvistate davanti al porto della storica città della corazzata Potemkin e non è ancora chiaro se si prepari un’invasione con mezzi anfibi o un bombardamento dal mare. Nelle stesse acque oggi è esplosa una nave commerciale estone, probabilmente dopo il contatto con una mina. In molti hanno citato questo incidente come prova del fatto che il genio russo avesse minato le acque della baia.

A fine giornata l’attacco non è ancora avvenuto e nessuno sa se la marina russa aspetti il termine dei negoziati per agire o se sia lì solo per incutere terrore nella cittadinanza. Fatto sta che negli ultimi due giorni le operazioni militari dell’esercito invasore si stanno concentrando su tutti i grandi centri periferici del grande territorio ucraino ma continuano a risparmiare Kiev.

Forse non è ancora giunta l’ora dell’attacco decisivo o forse a Mosca attendono qualcosa. Intanto i civili ucraini aspettano solo che questa follia abbia fine e che arrivi presto il momento in cui potranno tornare alle proprie case e alla propria vita.