Proseguono le proteste in Ucraina. Ieri i manifestati hanno chiuso l’accesso all’edificio dove ha sede il governo. Un blocco in piena regola, che ha impedito agli impiegati di recarsi in ufficio. Ma quello dell’esecutivo non è l’unico palazzo del potere su cui le attenzioni dei dimostranti si sono concentrate. Nelle ultime ore s’è registrata un’incursione anche alla sede del comune di Kiev. E sulla piazza dell’indipendenza, il più grande slargo di Kiev, s’è materializzata una tendopoli, circondata da barricate tirate su con qualsiasi cosa: panchine, piloni spartitraffico, alberi.

L’impressione è che la protesta stia cambiando di segno. Sulle prime si era configurata come un’eruzione spontanea di rabbia verso il presidente Viktor Yanukovich, che nei giorni scorsi, alla vigilia del vertice di Vilnius tra l’Ue e sei repubbliche ex sovietiche, ha declinato gli incentivi economici e commerciali offerti da Bruxelles nell’ambito della Eastern Partnership, iniziativa dell’Europa per rilanciare i rapporti con l’Est, cercando – scopo chiaro anche se non confessato – di depotenziare l’influenza di Mosca nell’area.

Con il passare dei giorni la voglia di assestare una spallata al governo e al presidente è diventata sempre più chiara. I partiti dell’opposizione, ieri, hanno rinnovato con insistenza la richiesta di elezioni anticipate, oltre alla liberazione di Yulia Tymoshenko. Ci sono voci che riguardano la convocazione di uno sciopero generale.

Yanukovich, presumibilmente spiazzato dalla reazione popolare, sta reagendo alla sua maniera: temporeggia e gioca su tutti i tavoli. Da una parte ha annunciato un’indagine sui pestaggi di domenica contro i dimostranti, ha licenziato il capo della polizia di Kiev e chiamato l’opposizione al dialogo. Dall’altra sa che può e deve approfittare delle divisioni nella piazza. I giovani, tra i primi a fiondarsi in strada, esibiscono un approccio antipolitico. Odiano Yanukovich, ma hanno scarsa fiducia nei reduci della rivoluzione arancione. I quali, dal canto loro, hanno il problema di doversi dissociare da Svoboda, partito saldamente radicato nelle aree occidentali del paese e ancorato alla tradizione del nazionalismo ucraino, che sta facendo un gran baccano, lì a Kiev.

L’altra questione, non certo irrilevante, è che nell’opposizione non c’è un leader che sappia unificare. Il più accreditato sembrerebbe Vitali Klitschko, uno dei più grandi boxeur della storia, da tempo sceso in politica. Ma è difficile che possa svettare e farsi portavoce della rivolta.

L’esito della partita dipende anche dalle dinamiche territoriali. Ieri diverse assemblee regionali hanno aperto sessioni per discutere dei recenti fatti di Kiev. Dalle aree occidentali del paese, ucrainofone e propense a guardare all’Europa, arriverà senz’altro una condanna. Il consiglio della regione di Ivano-Frankivsk già s’è espresso duramente, come quello di Leopoli. Ma il vero nodo è l’est russofono legato a Mosca, dove Yanukovich raccoglie la stragrande maggioranza dei suoi voti. Se da Donetsk e Kharkiv, i due centri principali dell’oriente ucraino, dovesse emergere una nota di biasimo, se non di peggio, il presidente potrebbe finire all’angolo. Intanto si sussurra che già giovedì alla Rada, il Parlamento, potrebbe tenersi un voto sulla fiducia all’esecutivo guidato da Mykola Azarov.

Sempre sul fronte domestico è interessante seguire il posizionamento degli oligarchi. I veri padroni del paese ai quali, secondo molti, Yanukovich, da quando è alla presidenza, ha accordato loro gran bei favori. È probabile che i tycoon attendano di vedere, prima di decidere, come si evolverà la situazione sul fronte internazionale. In particolare si tratta di capire con quanti soldi l’Ue potrebbe incoraggiare Kiev a tornare sui propri passi, rilanciando il discorso delle intese economico-commerciali. A Vilnius Yanukovich l’aveva messa proprio sul piano dei quattrini, chiedendo abbastanza sfacciatamente, in cambio della firma degli accordi, 20 miliardi di euro. Un’iniezione di denaro necessaria a salvare il paese dallo spettro della bancarotta, ma anche a distribuire dividenti tra gli oligarchi. Ora il presidente, consapevole che l’Ue vuole sventare lo smacco totale sulla Eastern Partnership, cerca di riannodare il dialogo ripartendo proprio dal discorso degli stimoli finanziari. E presto dovrebbe volare a Bruxelles.

Nel frattempo Yanukovich negozia anche con i russi. Si parla di uno sconto sulle forniture energetiche, si parla di prestiti. Mentre ieri Putin, alla sua maniera, ha sostenuto che le proteste di Kiev non hanno un respiro pro-europeo, ma ricordano piuttosto un pogrom e sono il tentativo, sostenuto dall’estero, di abbattere un governo legittimamente eletto.