Antifascismo e non solo, resistenza alle politiche autoritarie e sicuritarie, al nazionalismo e alla prospettiva di un’Europa chiusa dentro i suoi confini. In una parola: articolare una prospettiva diversa al diktat neoliberista rinforzato dall’attuale crisi economica. A poco più di un mese dalle prossime elezioni europee di maggio e all’interno del mese (21 marzo-21 aprile) dedicato in Grecia alle azioni antifasciste, almeno trenta gruppi e organizzazioni di solidarietà sociale provenienti da oltre venti paesi europei si sono dati appuntamento ad Atene per una di una tre giorni di dibattito.

Un’occasione d’incontro internazionale che ha raccolto la partecipazione di almeno 300 attivisti da tutta Europa, con un’apertura significativa verso l’est europeo. No Pasaran – questo è il nome del meeting che ha preso il via venerdì scorso e che si conclude oggi con una assemblea generale presso l’Accademia delle Belle Arti – è stata organizzata dal Coordinamento di Atene-Pireo. Non è un caso che tutto ciò sia avvenuto ad Atene, la prima in Europa a sperimentare con particolare accanimento l’efferatezza delle politiche di austerity e l’avanzata dei gruppi di estrema destra, Alba Dorata in primis.

«Abbiamo organizzato questo evento preoccupati da quanto sta succedendo in Europa»spiega Giorgos del Dyktio, la Rete per i Diritti Politici e Sociali con sede nello storico quartiere anarchico di Exarchia. «Considerato il nostro stato di crisi abbiamo pensato di incontrare altre realtà europee attive sui temi dell’antifascismo perché il fenomeno del nazionalismo e del fascismo sta conoscendo una nuova fase di espansione, complici le politiche neoliberiste.

Il caso della Grecia è significativo: il paese è stato sempre attraversato da un forte nazionalismo presente sia nei partiti di destra sia di sinistra compreso il Pasok, ma finora erano rimaste marginali. Discriminazioni razziali e su base etnica, attacchi agli immigrati, criminalizzazione delle proteste sociali: tutto ciò è esploso con la crisi economica, con le misure di austerity imposte dalla Troika». Uno scenario che, con tutte le differenze del caso, si sta riproducendo a macchia d’olio in maniera trans-nazionale. Dalla Bosnia alla Bulgaria, dalla Turchia all’Italia, dalla Francia fino a Cipro. Significative le testimonianze degli attivisti dell’est europeo, con particolare attenzione dedicata alla situazione in Ucraina.

«Sono qui per raccontare cos’è successo davvero a Kiev perché i media europei non hanno fatto un buon lavoro» spiega Natalia dell’organizzazione studentesca Direct Action. Al pari della Grecia, il fenomeno del nazionalismo in Ucraina mostra radici antiche. «Le forze nazional-socialiste sono emerse in Ucraina a partire dal 1991 dopo il crollo del regime comunista. Nel 2003 hanno cambiato logo, tattiche e strategie; apparentemente più soft hanno conquistato grande consenso, entrando in Parlamento con il 13% dei voti ottenuto dal partito chiamato, paradossalmente, Libertà (Svoboda, ndr). Da quel momento in poi fascisti istituzionali e neonazisti di strada si sono sostenuti a vicenda, fino alla coalizione con Patria di Timochenko che ha appoggiato Majdan.

La sollevazione è partita dagli studenti. I fascisti hanno organizzato la difesa della piazza e sono diventati cruciali. La sinistra ha provato ad articolare un dibattito alternativo sull’Europa trasformando lo slogan iniziale da Glory to the nation a Glory to the ratio. Dopo il primo attacco della polizia, lo scontro si è radicalizzato contro la brutalità della polizia. La mattina dopo tutta la città era in piazza, i fascisti sono diventati la minoranza rimanendo pur sempre molto radicali per via della loro esperienza negli scontri di piazza». Schiacciati tra fascismo e nazionalismo, Natalia esprime molto chiaramente il motivo di tale situazione: «Non esiste una alternativa a sinistra, lo stesso partito comunista ha fatto sua l’agenda neoliberista».