Dieci civili uccisi e 15 feriti per tiri d’artiglieria attorno Mariupol; oltre 100 tra guardie nazionali e militari ucraini accerchiati dalle milizie del Donbass nell’area di Lugansk: imprecisato il numero di morti e feriti. Queste le notizie di ieri dal fronte, mentre i ministri ucraini ispezionavano nei dintorni di Kharkov i lavori al «Vallo europeo», la muraglia fortificata di 2.300 km tra Ucraina e Russia e in un albergo della stessa Kharkov un video amatoriale riprendeva quelli che definisce «20 mercenari americani neri».

Ma Kiev in questi giorni è stata teatro di violenti scontri tra neofascisti e milizia di martedì scorso, quando alla Rada si discuteva l’equiparazione, politica e pensionistica, degli ex membri dell’Upa (il cosiddetto Esercito insurrezionale ucraino che, negli anni della guerra, a fianco dei nazisti, massacrò centinaia di migliaia di civili ucraini e polacchi e soldati sovietici e si rese complice della persecuzione edeportazione degli ebrei) ai veterani dell’Armata Rossa. Il 14 ottobre 1942 è considerato dai gruppi neofascisti – «Svoboda» in primo luogo – data di fondazione dell’Upa (ma il 15 ottobre 1959 è poi il giorno in cui fu eliminato Stepan Bandera) e con la guerriglia di martedì scorso si intendeva celebrarne il 72° anniversario. Evento coinciso con l’abolizione della ricorrenza del 23 febbraio, «Festa del difensore della Patria», sostituita , appunto, con il 14 ottobre, «Festa del difensore dell’Ucraina», decretata dal presidente Pëtr Poroshenko forte della conferma parlamentare a Ministro della difesa dell’ex comandante della Guardia nazionale Stepan Poltorak: «Passo decisivo per l’ulteriore fascistizzazione dell’Ucraina», dicono nel Donbass. La ricorrenza del 23 febbraio, istituita nel 1922 per celebrare la prima vittoria dell’Esercito rosso contro le truppe tedesche presso Pskov e Narva nel 1918 e festeggiata in epoca sovietica come il «compleanno dell’Armata Rossa», con la fine dell’Urss era diventata «Festa del difensore della Patria».

Ma il 14 ottobre era anche il 70° anniversario della liberazione di Riga, capitale lettone, dall’occupazione nazista. Attorno al monumento al «soldato rosso liberatore» ha però potuto riunirsi soltanto un minuscolo gruppo di veterani, rigorosamente senza le uniformi militari d’occasione, con medaglie e decorazioni sovietiche: la legge lettone lo proibisce, come proibisce l’uso della lingua russa e come nega la cittadinanza e il diritto di voto ad alcune centinaia di migliaia di russi lì residenti, anche se sono nati e cresciuti in Lettonia. Non va meglio in Lituania (altra culla del collaborazionismo nei genocidi nazisti), dove la minoranza russofona ha semplicemente paura di parlare in pubblico nella lingua madre e addirittura cerca di mascherare la propria nazionalità. “Molti politici vorrebbero metterci al muro”, ha detto ai rappresentanti Osce per le minoranze nazionali Larisa Dmitreva, dell’Unione dei russi in Lituania. Qui, in compenso, dal 1 novembre prenderà vita una Forza di reazione rapida di 2.500 uomini, pronta a intervenire dopo due ore dall’ordine del Presidente in caso di attacco in forze alle frontiere… Per quanto riguarda l’Estonia, nei giorni scorsi le autorità aeroportuali di Tallin hanno negato l’ingresso all’antropologo ed etnografo russo Valerij Tishkov, a causa, sembra, delle opinioni da lui espresse sulla politica etnica nei paesi baltici.

È in questa cornice di rigurgiti neonazisti e di tendenze nazionalistiche che incitano all’odio tra popoli e etnie fino a pochi anni fa conviventi sotto la stessa bandiera, che Vladimir Putin ha almeno condannato la «eroicizzazione del nazismo» e i «tentativi di revisione dei risultati della 2° Guerra mondiale». Lo ha fatto in un’intervista al serbo Politika, all’antivigilia del forum Asia-Europa di Milano e della sua visita a Belgrado, dove oggi si festeggia l’anniversario della liberazione dal nazismo. «Purtroppo il ’vaccino’ contro il virus nazista messo a punto a Norimberga, in alcuni stati europei sta perdendo forza», ha detto Putin, riferendosi direttamente ai Paesi baltici e all’Ucraina.