Tutto, lì sulle strade di Kiev, può ancora succedere. La polizia potrebbe intervenire in piazza dell’indipendenza, facendo sloggiare i manifestanti, assembrati, a decine di migliaia, su questo slargo. Oppure potrebbe irrompere nella sede del municipio, altro simbolo della protesta, occupato dall’inizio della manifestazioni, il 21 novembre.
Potrebbe succedere questo, nelle prossime ore. Ma potrebbe anche non succedere. In ogni caso, nel momento in cui chiudiamo il giornale, da Kiev arrivano notizie che indicano un aumento, deciso, della tensione. Dopo le grandi manifestazioni del fine settimana, culminate mediaticamente nell’abbattimento di una statua di Lenin, il governo ucraino ha ulteriormente mobilitato le sue strutture di sicurezza. Il Kyiv Post, che sta coprendo minuto dopo minuto la situazione, ha riferito dell’irruzione della polizia negli uffici di «Patria», il partito di Yulia Tymoshenko. L’operazione avrebbe portato al sequestro di dati informatici. Oltre a questo gli agenti hanno rimosso alcune barricate poste dall’opposizione davanti alla sede del palazzo del governo, inaccessibile da giorni. Non ci sono state violenze. I manifestati hanno ceduto. I capi dell’opposizione, che continuano a invocare le dimissioni del presidente Yanukovich e del governo, li hanno invitati a lasciare i blocchi e a difendere la posizione al comune e su piazza dell’indipendenza. È in questi due punti nevralgici della protesta che – se avverrà – ci sarà lo scontro frontale.
Finora il capo dello stato e il primo ministro Mykola Azarov, colti di sorpresa dalla continuità e dall’intensità delle manifestazioni, hanno cercato di blandire i dimostranti. Il capo della polizia di Kiev è stato silurato, dopo che sabato scorso i reparti speciali avevano caricato la folla. Potrebbe essere sacrificato anche il ministro degli interni Vitali Zakharchenko. Ma all’opposizione, tanto unita nell’opporsi a Yanukovich, quanto ideologicamente divisa al suo interno, non basta. Nessuno si è schiodato dalla piazza.
Ma davvero Viktor Yanukovich pensa di usare la forza? Se l’opzione è concreta si potrebbe sospettare che il capo dello stato abbia ricevuto da Pechino e Mosca delle grosse rassicurazioni finanziarie. Dopo il no agli accordi di associazione con l’Unione europea, Yanukovich è infatti andato in Cina e in Russia a battere cassa. Alla crisi politica si lega una serissima emergenza economica, che sta spingendo l’Ucraina verso lo spettro della bancarotta. Servono almeno quindici miliardi di dollari. Yanukovich è stato nei giorni scorsi a Pechino, dove si sarebbe assicurato otto miliardi. Poi, prima di rientrare a Kiev, s’è incontrato con Putin a Sochi. Non è trapelato nulla, ma non è difficile immaginare quello che i due si sono detti. Il presidente ucraino ha senz’altro chiesto all’uomo forte di Mosca prestiti e sconti sulla tariffa energetica (troppo onerosa), quest’ultimo potrebbe averlo consigliato di non riaprire le trattative con l’Ue e di aderire allo spazio doganale post-sovietico, il primo mattone del sogno putiniano: l’Unione eurasiatica. Ipotizzando che Yanukovich abbia detto sì, si può allora pensare all’intervento di forza – senza esagerare – contro i manifestanti.
Ma questo è solo uno scenario, tutt’altro che certo. Nel frattempo Yanukovich, che sa che se si gettasse tra le braccia della Russia potrebbe finire schiacciato, sta tentando di negoziare. Oggi dovrebbe vedersi con i suoi tre predecessori, Leonid Kravchuk, Leonid Kuchma e Viktor Yushchenko, che nei giorni scorsi avevano firmato una reprimenda nei suoi confronti. Potrebbe scaturire una soluzione «presidenziale» alla crisi, mediata dall’attuale e dai vecchi inquilini della Bankova (sede della presidenza)? Chissà. Sempre oggi, la «ministra degli esteri» dell’Unione europea, Catherine Ashton, dovrebbe recarsi a Kiev. Incontrerà i delegati del governo e quelli dell’opposizione. L’Europa non ha intenzione di lasciare che la Russia si mangi l’Ucraina. Potrebbe essere propensa a riaprire le discussioni sugli Accordi di associazione e sganciare qualche quattrino a Kiev, ma ha fatto sapere – così Barroso – che alcune delle condizioni iniziali non saranno riviste. In altre parole, l’Ue pretende ancora la scarcerazione della Tymoshenko. Yanukovich ha già detto no, facendo saltare gli accordi. Era il 21 novembre, il giorno in cui è scoppiata questa nuova, enorme crisi ucraina.