Parlare della città di Karabash vuol dire parlare della più grande tragedia ambientale russa di tutti i tempi, anche se non certo l’unica che affligge paese.
Posta non lontano da Chelyabinsk, grande città degli Urali, Karabash è stata dichiarata dall’Unesco la città più inquinata del pianeta, un triste primato riconosciuto del resto anche dallo stesso governo russo che negli anni Novanta la definì «zona di disastro ambientale» e nel 2014 la fece assurgere a «comune della Federazione russa con situazione socioeconomica allarmante».

KARABASH, ANTICO insediamento tataro, sorse in epoca zarista, dopo la scoperta di alcuni giacimenti auriferi. Ma fu la scoperta del rame all’inizio del XX secolo a trasformarla in un centro minerario dove vivevano migliaia di minatori con le loro famiglie. Il potere sovietico per decenni badò solo alla crescita della produzione e per lungo tempo gli effetti sulla natura e sull’uomo delle miniere di rame vennero gelosamente occultati.

TUTTAVIA ALLA META’ DEGLI ANNI NOVANTA il volume annuo delle emissioni degli impianti nell’atmosfera aveva superato le 118mila tonnellate di anidride solforosa. Gli esperti sono concordi nel valutare che gli alti tassi di mortalità di Karabash per cancro e malattie respiratorie sono dovuti all’estrazione di rame: per questo in molti, soprattutto i giovani, negli ultimi 20 anni hanno fatto le valigie e la popolazione cittadina è passata da 50.000 abitanti, agli attuali 11.000. Chi resta è perché non saprebbe dove andare a guadagnarsi un salario migliore o è pensionato.

COME PAVEL INSAROV, 79 ANNI, L’UNICO operaio della zona della sua generazione ad essere ancora vivo: «A volte la sera mi siedo qui in cucina o in soggiorno e sento il gas che filtra dalle finestre chiuse. Se lasci cadere qualche goccia di olio per automobile sul tubo di scappamento caldo, potrai sentirlo fino in fondo alla gola» ha dichiarato il pensionato al giornale locale Vecerny Chelyabinsk.

NEL 1989 LE AUTORITA’ AVEVANO DECISO la definitiva chiusura della produzione di rame ma dopo alcuni anni lo stabilimento ha riaperto sotto gli auspici della Karabashmed Ltd e della Russian Copper Company che insieme ad altre società offshore cipriote, Pyracanta Holdings e Tilia Holdings, è tornata a produrre a Karabash 30.000 tonnellate di rame grezzo all’anno. Gli effetti sull’ambiente sono stati disastrosi. Quasi tutti i residenti soffrono di vertigini, tosse secca e in alcuni casi hanno perdite di muco sanguinolento. «Gli abitanti soffrono di malattie genetiche e acquisite: tumori, eczemi, calcoli renali, difetti intrauterini, demenza, paralisi cerebrale sono la normalità qui», denuncia un medico della zona, Vladimir Zhekov.

ANCHE GLI EFFETTI SULL’AMBIENTE sono devastanti: il consiglio presidenziale per i diritti umani ha denunciato non più tardi di quest’estate che 100 ettari di terreno sono stati contaminati da depositi di ferro, zinco e acido solforico e filtrati nel fiume da cumuli di scorie ai margini della città, lì dove negli anni ’90, per sovrammercato, vi erano stati scaricati 14 milioni di tonnellate di rifiuti. Il paesaggio, è post-apocalittico, con il suo fogliame morto e il fiume dalle tinte arancioni (grazie al rame e altre sostanze nelle sue acque).

LA DIREZIONE GENERALE DELLE MINIERE di Karabash, ha da qualche anno installato impianti di depurazione e afferma che il livello di emissioni nocive si è ridotto di venti volte. Ma recenti ricerche per accertare la quantità di metalli pesanti e arsenico nell’atmosfera, nell’acqua e nel suolo dimostrano che la situazione non è particolarmente migliorata. La concentrazione nell’acqua di arsenico è 279 volte il livello consentito; il rame 368 volte e 300 volte per il piombo. Per ingraziarsi la popolazione la Karabashmed «risarcisce il danno ambientale» con 5.000 rubli per ogni cittadino (60 euro) che da queste parti non sono poco, ma che dà la misura di quali siano i profitti che la corporation realizza con il rame. L’azienda investe anche nel «sociale»: negli ultimi anni ha donato al comune 1 miliardo di rubli per costruire un nuovo complesso sportivo, un sanatorio e una scuola materna. Tuttavia molti cittadini non si sono fatti irretire e si sono organizzati in una associazione ecologista che puntualmente organizza assemblee e manifestazioni.

NEL 2019 HA ANCHE RACCOLTO 160 MILA firme e presidiato costantemente gli uffici dell’amministrazione locale per chiedere una riqualificazione e la bonifica di tutta la zona ma si sono scontrati con il muro di gomma dei grandi interessi economici che girano attorno alle miniere.

IVAN BLOKOV, DI GREENPEACE RUSSIA, sottolinea che sebbene il quadro ambientale sia migliorato negli ultimi anni, ci sono ancora enormi problemi da risolvere: «Anche se l’impianto smettesse di scaricare nel fiume oggi, resterebbe inquinato comunque per sempre. Non ho mai visto niente di simile». E le promesse del governo? «Non so se crederci ma non credo che abbiamo molto tempo per salvare il salvabile», conclude sconsolato l’ecoattivista.