I Talebani afghani tornano a colpire Kabul. Nella mattinata di ieri, quattro razzi sono stati sparati contro il nuovo Parlamento, costruito grazie al sostegno del governo indiano. Tre razzi su quattro hanno centrato l’edificio istituzionale mentre era in corso una riunione sulla sicurezza. A partecipare, i funzionari del ministero degli Interni, della Difesa e della National Directorate of Security, i servizi segreti. L’attentato è stato rivendicato dai Talebani. Un chiaro messaggio rivolto al governo di unità nazionale del presidente Ashraf Ghani e del «primo ministro» Abdullah Abdullah, al potere dal settembre 2014, da quando il segretario di Stato degli Stati Uniti John Kerry ha imposto la coabitazione, altrimenti «niente soldi».

Il messaggio è duplice: no alle aperture del governo Ghani all’India, paese antagonista del Pakistan, il cui establishment militare coltiva ambizioni strategiche in Afghanistan e continua a sostenere i Talebani. Ma l’attacco al Parlamento è anche un no al dialogo negoziale. Almeno per ora. I Talebani afghani affrontano un difficile periodo di transizione. L’annuncio della morte del mullah Omar, nel luglio scorso, ha approfondito le fratture interne al movimento, diviso sull’atteggiamento da tenere sul fronte diplomatico.

Chi dice no al processo di pace, chi vuole aspettare, chi già ha intavolato discussioni segrete o aperte nuovi canali diplomatici internazionali. Ma i dissidi riguardano la stessa nomina della nuova “guida dei fedeli”, il mullah Akhtar Mohammed Mansour. Già leader de facto del movimento dal 2010, ministro dell’Aviazione e del Turismo al tempo dell’Emirato islamico d’Afghanistan, la sua nomina è stata contestata da un terzo dei 18 componenti della Rahbari Shura (o Shura di Quetta), il massimo organo di rappresentanza politica del movimento.

I dissidenti lo hanno accusato di monopolizzare il potere e di aver manipolato il processo elettorale con metodi poco inclusivi. Ora ne contestano la leadership. A risentirne, è la coesione del gruppo, per anni tenuta insieme dalla figura evanescente del mullah Omar. Ma ne risente anche il processo di pace, il tema su cui da tempo gioca la propria legittimità politica il presidente Ashraf Ghani. Il nuovo leader dei Talebani è considerato un pragmatico, vicino ai servizi segreti pakistani, e per questo criticato da parte dei suoi uomini.

Vorrebbe accelerare sul processo negoziale, ma non può ancora farlo: deve prima consolidare la propria leadership, contestata da molti. Il suo antagonista più rilevante è Mohammad Rasul, già governatore della provincia di Nimruz ed ex membro della Rahbari Shura, che all’inizio di novembre 2015 ha formalizzato la nascita della propria fazione, l’Alto consiglio dell’Emirato islamico d’Afghanistan, con il sostegno del mullah Abdul Manan Niazi, negli anni Novanta portavoce del mullah Omar. I dissidi frenano il processo negoziale. E adesso l’attacco al Parlamento di Kabul manda un segnale politico.