Il viaggio lampo del segretario di Stato americano Rex Tillerson, che dopo Iraq e Afghanistan è arrivato ieri in Pakistan per visitare poi Nuova Delhi, è la prima vera offensiva diplomatica in casa dell’amico-nemico.

L’amico nemico è il Pakistan verso cui Tillerson – assai più morbido a Islamabad – ha avuto parole durissime durante i suoi colloqui afghani. Accusati di essere la sentina della guerra, i pachistani – colpevoli di dare rifugio ai talebani afghani – non la prendono molto bene questa offensiva diplomatica preceduta dalle parole di fuoco di Trump e della sua ambasciatrice all’Onu che sul Paese dei puri han sparato duro.

I pachistani – messi in imbarazzo anche da un’intervista di Caitlan Coleman (un’americana liberata col marito canadese Joshua Boyle che ha appena detto al Toronto Star, smentendo Islamabad, che il rapimento afghano si è trasformato in una cattività in Pakistan per più di un anno) – sono allarmati soprattutto da due cose: una diplomatica e l’altra militare.

Quella diplomatica riguarda l’India, il fratello-coltello oltre confine, la cui espansione in Afghanistan preoccupa molto Islamabad. E da che gli americani hanno addirittura chiesto a Delhi di «tenere d’occhio» il Pakistan, il furore è difficile da nascondere. La seconda è che il viaggio di Tillerson inaugura anche un nuovo stadio della guerra afghana e della sua scia pachistana.

La notizia riguarda la luce verde del presidente alla nuova strategia contro insurrezionale di Michael “Mike” Pompeo, parlamentare repubblicano (di origini italiane) nelle grazie del Tea Party che da gennaio è a capo della Cia. Pompeo, che ha frequentato West Point e ha una carriera militare alle spalle, è un tipo muscolare proprio come Trump.

La sua interpretazione del messaggio di Donald (nessuno avrà più un luogo dove nascondersi) è una nuova espansione delle attività dell’Agenzia che superino le restrizioni dell’era Obama, che autorizzava le operazioni coi droni solo all’esercito e che, al massimo, consentiva alla Cia di operare in Pakistan.

Negli ultimi tre anni i raid con i droni militari sono comunque aumentati (ammesso che il dato sia veritiero) da 304 nel 2015 a 376 nel 2016 a 362 nei primi otto mesi del 2017 (mentre la Cia ne avrebbe totalizzati solo 3 l’anno scorso e 4 quest’anno e solo in Pakistan).

Ma per Pompeo, e per Trump, non bastano né basta più che la Cia addestri la sua controparte (Nds) afghana. Da adesso la Cia potrà fare tutti i raid che vuole in Afghanistan senza rispondere all’esercito schierato al comando del generale Nicholson che guida anche le truppe Nato.

La gestazione del progetto Pompeo, che impiega le cosiddette forze paramilitari dell’agenzia o soldati prestati dal Pentagono, non è stata facile: la Cia è nota per andar ancor meno per il sottile in fatto di danni collaterali così che alla Difesa diversi generali – dice la stampa americana – hanno storto il naso: «Cosa possono fare che non possiamo fare noi»?

In realtà i servizi segreti fanno solo operazioni «coperte» e dunque bypassano ogni catena di comando. Ma chi pagherà il conto delle vittime civili, già alto durante i raid aerei «normali»? Per l’afghano della strada, un drone è un drone e una pallottola non ha firma. Le colpe della Cia si riverseranno sull’esercito.

Il governo afghano dal canto suo plaude. La pratica hunt and kill (caccia e uccidi) piace al ministero della Difesa che ha espresso apprezzamento. Washington sostiene che la nuova massiccia campagna di omicidi mirati porterà più facilmente i talebani al tavolo del negoziato. Ma è molto più probabile che farà solo crescere la guerra e il bilancio delle vittime civili.