In piena rievocazione del periodo napoleonico, c’è un’aria di battaglia di Trafalgar tra la Francia e la Gran Bretagna. Dopo una decina di ore di assedio, la cinquantina di battelli da pesca francesi al largo di Saint-Helier, il principale porto dell’isola di Jersey, si sono ritirati ieri pomeriggio.

Mercoledì la Gran Bretagna, che assicura la politica estera delle isole anglo-normanne di Jersey e Guernesey, ha inviato due navi da guerra, il Severn e il Tamar, «per sorvegliare la situazione».

La Francia ha risposto con l’invio di due navi guardiacoste, che sono rimaste in acque francesi ufficialmente per «assicurare la sicurezza della navigazione e la salvaguardia di vite umane in mare». Qualche ora prima, la ministra del Mare francese Annick Girardin ha minacciato di «tagliare la corrente» a Jersey, che dipende dalla rete francese.

«Una dichiarazione di guerra» per un parlamentare britannico, «minacce chiaramente inaccettabili e sproporzionate» per il portavoce del governo di Londra, mentre a Jersey già pensano di diversificare l’approvvigionamento di energia per non dipendere più al 100% dalla Francia.

Per Boris Johnson il blocco dell’isola è «totalmente ingiustificato» ma il premier ha assicurato a Jersey, che ha un governo autonomo, «sostegno indefettibile» da parte di Londra. «Le manovre» di Londra »non ci devono impressionare», ha reagito il ministro degli Affari europei di Parigi, Clément Beaune.

Non è Trafalgar, ma la guerra del pesce. Dalla Brexit, in atto dal 1° gennaio, rien ne va plus sulla pesca nella Manica. Era già stato molto difficile arrivare a un accordo di massima, la pesca è stata uno dei principali ostacoli al divorzio Ue-Londra.

Secondo l’accordo della Brexit, per la pesca nelle acque britanniche da parte di battelli Ue è stato istituito un periodo di transizione fino all’estate 2026. Allora, i pescatori Ue dovranno diminuire del 25% le loro catture nelle acque britanniche, più pescose.

Nel frattempo, è in atto un regime transitorio, che permette ai pescatori europei di conservare un accesso garantito, tra le 6-12 miglia al largo delle coste britanniche (Jersey è a 22 km dalle coste del Cotentin francese e a 130 da quelle inglesi). Ma devono ottenere un’autorizzazione da Londra.

La Gran Bretagna per concedere le autorizzazioni pretende che i battelli da pesca europei dimostrino che già pescavano nel periodo di riferimento 2012-2016, sulla base di prove con dati Gps. I grandi pescherecci si sono organizzati, ma i piccoli pescatori hanno difficoltà a risalire nel tempo per trovare i documenti necessari, se un peschereccio è nuovo deve dimostrare che è «l’erede» di un altro attivo nel periodo di riferimento.

La Francia ha presentato 344 domande, solo 41 sono state soddisfatte. I pescatori francesi protestano, minacciano di bloccare Calais e di distruggere l’import britannico, il governo di Jean Castex ha stanziato 100 milioni di euro per calmare la situazione.

Il governo autonomo di Jersey cerca una via d’uscita, «dobbiamo parlarci, qui tutti hanno il nostro numero di telefono». Ma il governo britannico usa l’arma della lentezza per concedere le licenze. Ue e Gran Bretagna stanno battagliando per definire le quote di pesca di quest’anno e non sono ancora riuscite a mettersi d’accordo.

Londra è in difficoltà anche per l’accordo sulla pesca con la Norvegia (che non è nella Ue). La Francia ha fatto appello alla Ue, che ha l’incarico di negoziare l’attuazione della Brexit con la Gran Bretagna. «Auspichiamo che la situazione si plachi» dice Parigi.

«Ho parlato con David Frost, il ministro britannico delle relazioni con la Ue – afferma Clément Beaune – la nostra volontà non è di fomentare tensioni, ma di avere un’applicazione rapida e completa dell’accordo» di uscita della Gran Bretagna dalle Ue.

«La dimostrazione di forza è fatta», ha affermato ieri sera Dimitri Rogoff, del Comitato regionale della pesca della Normandia, se il governo non ottiene niente «gli taglino la corrente».

Nel corso del negoziato per la Brexit, Johnson aveva affermato di voler «riprendere il controllo» sulla pesca. Le tensioni durano da decenni. Dagli anni ’70, al centro ci sono i Tac (tassi autorizzati di cattura) con i britannici che chiedono da quando sono entrati nell’Unione di aumentare le loro quote e i paesi europei interessati che difendono le loro conquiste.

Sul fronte Ue ci sono otto paesi in prima linea: Francia, Belgio, Irlanda, Spagna, Olanda, Svezia, Germania e Danimarca. Le acque britanniche sono più pescose di quelle Ue, i pescatori dei paesi Ue pescavano per 700 milioni di euro l’anno nelle acque inglesi, contro 154 milioni di euro dei britannici nelle acque dell’Unione. Ma il pesce britannico è esportato nella Ue e quest’inverno ci sono state serie difficoltà, che hanno aggravato la crisi del settore inglese, che perde dalla Brexit un milione di sterline al giorno.