A rovinare tutto ci pensa Enrico Mentana, quando al termine di una rampogna raggelante esclama la parola «punto». Mentana ha appena censurato il cartellino rosso presentato al giornalista della Stampa Jacopo Iacoboni, reo di non si sa cosa per gli organizzatori di Sum 2, il simposio della Casaleggio Associati in ricordo del fondatore Gianroberto, scomparso due anni fa. Gianluigi Nuzzi, seduto di fianco a Enrico Mentana, tenta una disperata difesa: «Il giornalista ha taroccato il badge». Nuzzi prova a far capire alla platea, visibilmente soddisfatta, che il cronista della Stampa non è stato onesto fino in fondo e quindi meriti l’ostracismo. Mentana tiene il punto e nella sala si erge la sensazione di festa rovinata, cala il gelo che non si scalda nemmeno quando seguono le domande di Nuzzi tese a dimostrare che insomma, con Mentana noi del Movimento 5 Stelle si va d’accordo.

L’EX OFFICINA H della Olivetti ha un valore simbolico supremo, è la materia del socialismo utopico di Adriano Olivetti: qui il M5S vuole dimostrare la sua visione di futuro. Nel momento in cui si dibatte dentro vicissitudini che ricordano le dinamiche dei «partiti ormai morti», il M5S a Ivrea vuole raccontarsi dando il suo volto più gioviale.

Gli spunti sono molteplici, la sala molto attenta: ad esempio l’Estonia è un modello sociale per il M5S, perché ha il debito pubblico più basso d’Europa, i rating delle agenzie migliori, nonché tutti i servizi pubblici fruibili attraverso il telefono. Ne parla Urmas Eigla, vice responsabile dell’ambasciata estone che si dilunga illustrando un modello di vita felice, fondato sulle piattaforme digitali. Gli fa eco la «cittadinanza digitale» evocata da Massimo De Felice, accademico dell’Università di San Paolo: corda che ancora fa vibrare i cuori dell’apparato a cinque stelle a cui piace sempre sentire quella storia della democrazia diretta e dell’uno vale uno.

Al mattino invece era il turno di Diego Fusaro – la critica hegeliana al capitalismo apolide smaterializzato post ideologico – e Domenico De Masi, teorico del lavorare gratis, lavorare tutti. Di tutto questo non rimane traccia, travolto dal «punto» di Enrico Mentana sulle peripezie di Iacoboni. Anche la splendida lezione sul valore della parole nella tradizione ebraica portata da Moni Ovadia scompare: Ovadia però non aveva iniziato nel migliore dei modi per la platea, mettendo in chiaro che lì, alla convention di Casaleggio, lui era presente perché invitato e non per altre affinità. Stanchi applausi hanno salutato la sua riflessione.

TONI PACATI, CONFRONTO, ospiti di destra, sinistra, centro: una ricca esposizione di libri aveva salutato i visitatori all’ingresso. Principali autori presenti sul bancone: Nuzzi, Fusaro, De Masi, Travaglio. Diverse le biografie su Olivetti. Azzeccata la scelta del luogo, molto meglio del Lingotto degli Agnelli scelto dal Pd di Matteo Renzi solo pochi mesi fa.

Nel capannone che fu l’officina H della Olivetti di Ivrea sono ancora presenti i ponteggi e traverse in acciaio. Scomparsi i macchinari e operai , da decenni . Ma qui, a Ivrea, il lavoro sembra essere finito ieri, mentre nello storico stabilimento Fiat la post industrializzazione commerciale trasuda da ogni muro.

IL PROGRAMMA DI CASALEGGIO: si parla di grandi temi legati al futuro, di scenari distopici che potrebbero trasformarsi in occasioni. Nessun accenno al governo e a varie alleanze, quindi. «Questa è una giornata in cui vogliamo parlare del futuro nel prossimi vent’anni, ma capisco che lo sguardo dei giornalisti sia rivolto a Palazzo Chigi». Con queste parole Davide Casaleggio, figlio del fondatore Gianroberto risponde alle insistenti domande sugli scenari romani.

L’intervento di Massimo Bray su «Economia della cultura e sviluppo delle risorse» dai più viene letto come un’apertura agli ex nemici del Partito democratico con cui ieri Di Maio voleva firmare una accordo di pace post bellico. Bray fa un intervento puntuale, tecnico, ma non si sbilancia su nulla: è il momento culminante della convention.

IN SALA ALMENO CINQUECENTO persone, molte di apparato. L’attivista pentastellato è decisamente affine al militante renziano. Entrambi hanno piena fiducia nel loro capo, nelle sue scelte «che è giusto non vengano delegate ad una votazione on line» perché, come dice la signora Eleonora da Torino «sono state votate da undici milioni di persone». Quindi, almeno in questa sala, non vi è differenza tra un governo fatto con la Lega di Salvini e uno con il Pd, purché con Renzi non troppo visibile. «Tanto noi abbiamo la maggioranza»: è il coro generale. Ma nel grande padiglione manca l’altro capo, Beppe Grillo: nessuno ne fa un dramma, anzi. Perché il capo ora è Luigi.