Negozi che chiudono. Lavori in corso. Signore eleganti accessoriate Burberry sull’aereo Roma-Lisbona, aereoporto squisitamente internazionale. Un anziano signore ha accampato la sua vita sulle scale della sala di cinema Sao Jorge nel centro dello shopping di lusso. Il Portogallo delle «Mille e una notte» (cit. Miguel Gómes) è l’immagine di un qualsiasi paese d’Europa oggi, di una crisi e di un’economia che non vanno meglio a dispetto delle statistiche e dei proclami snocciolati dai governanti, ma sono semplicemente stemperate in un’abitudine che le afferma silenziosamente, che plasma all’assuefazione ai divari sociali, all’instabilità. Lo sparuto gruppetto di operai che protesta contro la precarizzazione dei salari sembra quasi rassegnato.

E però qui a Lisbona si respira energia. Moltissimi giovani riempiono le sale di Doclisboa 2016, il festival del documentario che nel primo fine settimana ha fatto il tutto esaurito, triplicando gli abbonamenti. Il risultato del lavoro duro e infaticabile tutto l’anno di un’equipe motivata, a direzione portoghese e italiana – Cintia Gil e Davide Oberto.

«Per un cinema impossibile» è il titolo della retrospettiva di questa quattordicesima edizione – anzi di una delle retrospettive, l’altra è dedicata al grandissimo autore di La Commune (Paris, 1871) Peter Watkins – sul cinema documentario e d’avanguardia a Cuba.
Dietro la macchina da presa ci sono giovani registi come Gutierrez, Alea, Espinosa che hanno studiato a Roma, conoscono e amano il neorealismo e Rossellini, e che troviamo ora alla guida del nuovo Icaic, l’Istituto cubano dell’arte e dell’industria cinematografica voluto da Fidel Castro – che lo affida a Alfredo Guevara – subito dopo la vittoria della Rivoluzione nel 1959.

Una sfida molteplice questa in un Paese la cui economia viene considerata troppo povera per permettersi un’industria cinematografica, e che invece trova subito l’appoggio dei giovani intellettuali, degli artisti che di questo mezzo colgono – e attuano – le potenzialità rivoluzionarie. Appunto. Non solo dunque la celebrazione delle vittorie ma un impasto radicale e eccentrico di cultura popolare, sincretismo, alfabetizzazione – sarà la stessa intuizione di Sankara in Burkina anni dopo, che il cinema può arrivare a chi non legge – scintilla di un racconto alla prima persona da scrivere insieme. Fuori dalle gabbie del colonialismo, con nuovi linguaggi da inventare.    

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Dodici «capitoli» tematici organizzano i molti materiali: si va dalle «Origini» con i film di Espinosa al «Grandangolo» con Giron (1972) il film di Manuel Herrera sull’invasione americana della Baia dei Porci nel 1961.
Ci sono anche ospiti «stranieri» come Agnes Varda – Salut, les Cubains! un montaggio di 1800 fotografie in bianco e nero scattate dalla cineasta francese durante il suo viaggio a Cuba, nel 1962. O Chris Marker con La Bataille des dix millions (1971), Castro e la lotta dei raccoglitori della canna da zucchero.

O ancora Robert Drew con Yanki, no! (1960),sull’opposizione agli Stati uniti in America latina.
Presenza della scuola sovietica, neorealismo, quasi newsreel, Guantanamo di José Massip è un esempio sorprendente di questo lavoro che esclude la propaganda o il pamphlet così ricorrenti nelle commissioni per cercare, appunto, di restituire la realtà nelle sue contraddizioni anche dolorose, e nonostante la rivoluzione, e costruire una propria storia. La storia è quella della base americana, un luogo in cui le prime flotte arrivano già all’inizio del secolo scorso.

Ben presto la base navale e la città che la circonda divengono un solo organismo controllato e regolato dalle leggi degli americani che si arrogano il diritto di poter fare tutto. Cubani, haitiani e gli altri lavoratori della base sono i «goonies», così li chiamano, sono gli uccelli che divorano i cadaveri. Prostituzione corruzione, ignoranza, violenza, miseria. I lavoratori cubani sono sotto pagati, non hanno alcuna protezione e vengono licenziati in massa alla prima crisi.

Dopo la Rivoluzione gli Stati uniti, in virtù di un contratto di affitto, considerato illegale dal governo cubano, continuano a mantenere la base, utilizzata per imprigionare e torturare i prigionieri della guerra in Iraq illegalmente. Così come illegalmente anche dopo la conquista cubana i militari Usa continuano a sparare (e uccidere) contro i cubani fuori dall’area.

Guantanamo più che la rivoluzione racconta l’intera storia della presenza americana in America latina – l’embargo contro Cuba è appena finito – la politica del controllo economico, culturale, restituendo con precisione la realtà del momento attraverso racconti, leggende, testimonianze. L’ invenzione di un immaginario.