Se non fossero in gioco le vite di migliaia di civili e migranti e la distruzione di un paese, ci sarebbe da ridere. Mentre ieri il Comitato militare 5+5 libico – formato da cinque funzionari militari dell’Esercito nazionale libico (Enl) del generale Haftar e da cinque del Governo di Accordo nazionale (Gna) riconosciuto internazionalmente – si riuniva a Ginevra alla presenza dell’inviato dell’Onu in Libia Salamah per discutere del cessate il fuoco in Libia del 12 gennaio mediato da turchi e russi (da due settimane però ripetutamente violato), nello Stato nordafricano Gna ed Enl continuavano a scontrarsi militarmente. Un paradosso, ma che ben sintetizza il disastro libico.

Il Comitato, annunciato lo scorso 19 gennaio al termine dei lavori del Convegno di Berlino, è stato considerato da molti analisti come uno dei punti positivi del summit tedesco perché è intra-libico e quindi (teoricamente) affronta la questione internamente «senza ingerenze straniere», come ripetono tutti i protagonisti del dossier Libia negli ultimi due mesi.

Visto il clima infuocato delle ultime settimane, con Gna ed Enl che continuano a combattersi, la convocazione del comitato (dopo alcuni ritardi) è stata già di per sé un miracolo. Ma la possibilità che possa essere al momento di qualche utilità è pura illusione perché i lavori di Ginevra sono nati segnati dal fallimento.

Incontrando tre giorni fa a Bengasi l’inviato dell’Onu Salamah, Haftar ha posto due paletti inaccettabili per il Gna: scioglimento delle milizie e dei gruppi armati a Tripoli («organizzazioni terroristiche» per l’Enl) e necessità di rimuovere la «minaccia» degli oltre 3mila mercenari siriani inviati dai turchi in sostegno del Gna.

Un sostegno sempre più evidente e pericoloso perché rischia di aumentare l’intensità del conflitto spingendo anche i partner stranieri di Haftar (emiratini in primis, ma anche egiziani, giordani e sauditi) ad aumentare il flusso di armi e di appoggio logistico e diplomatico in suo favore.

Le armi sono il principale problema in Libia: il fatto che continuino ad arrivare a entrambe le forze rivali rappresenta il più grande fallimento del Convegno di Berlino di gennaio.

Più che le dichiarazioni roboanti dei leader europei contro il flusso di armi sarebbe stato necessario piuttosto mettere su un meccanismo che monitorasse seriamente l’embargo sugli armamenti nel paese, come prevede la risoluzione Onu 1970 del 2011, e soprattutto punisse i trasgressori.

Il ministro degli esteri tedesco Mass ha dichiarato che la Germania collaborerà con il Consiglio di sicurezza dell’Onu per sviluppare una risoluzione che colmi i limiti di Berlino a riguardo. Resta da capire cosa ne pensano gli altri ministri degli esteri presenti nel summit internazionale di gennaio sulla Libia che si rincontreranno il 19 marzo sempre a Berlino.

Con armi in libera circolazione e con attori locali impuniti perché coperti dai rispettivi partner stranieri, la continuazione della guerra in Libia è finora l’unica cosa certa. Ieri le forze armate di Haftar hanno bombardato numerosi obiettivi a sud di Misurata e Zliten, prendendo di mira siti dove si trovavano, oltre a depositi di armi e munizioni, «mercenari siriani e altri estremisti» pro-Gna. Secondo il portavoce dell’Enl, nella sola Tripoli i miliziani islamisti provenienti dalla Siria uccisi negli ultimi giorni sono stati 71.

Le forze del Gna, invece, hanno fatto sapere di aver colpito postazioni di Haftar ad al-Waskha (est di Misurata) provocando un numero imprecisato di morti e feriti. Proprio non lontano da Misurata (città in cui sono presenti 300 soldati italiani) si registrano in questi ultimi giorni gli scontri più duri: qui le forze pro-al-Sarraj provano a fermare l’avanzata dell’Enl.