Venti anni fa uno straordinario movimento globale osò oltrepassare il perimetro dato e dire l’indicibile: “un altro mondo è possibile”, rompendo la cappa di quel “There is no alternative” pronunciato trenta anni prima da Margareth Thatcher e divenuto la cifra del capitalismo contemporaneo.

Quel movimento disse a chiare lettere che una società basata sul mercato non avrebbe garantito protezione ad alcuno, che la diseguaglianza sociale avrebbe diviso il mondo in vite degne e vite da scarto, che la crisi ecologica sarebbe divenuta irreversibile.

Soprattutto, da Seattle in avanti, quel movimento mise in discussione la legittimità dei grandi vertici internazionali a poter decidere della vita delle persone, ponendo l’irrinunciabile tema della democrazia: per questo fu ferocemente attaccato e, nel suo stato nascente, costretto a Genova a confrontarsi immediatamente con la violenza, la tortura, i massacri, fino all’uccisione di Carlo Giuliani, ragazzo.

Venti anni dopo è sin troppo facile ribadire le profonde ragioni di quel movimento: la pandemia, nella quale l’intero pianeta è immerso da oltre un anno e mezzo, ci dice la profondità delle contraddizioni di un modello divenuto tanto pervasivo da estendere la finanziarizzazione dall’economia alla società, alla natura, alla vita stessa delle persone. Oggi, ancor più di allora è divenuto evidente, come non vi potrà essere futuro possibile se non uscendo dal capitalismo.

Lo chiede la drammaticità della crisi climatica, l’enormità della diseguaglianza sociale, l’abissale precarietà nella quale sono state trascinate le vite di tutte le persone. Siamo davanti a uno spartiacque: le grandi multinazionali, le lobby finanziarie e i governi vogliono chiudere il prima possibile le faglie aperte dalla pandemia nella narrazione liberista e riproporre, in versione ancora più autoritaria, le politiche di espropriazione dei diritti, di mercificazione dei beni comuni, di estrazione di valore finanziario da ogni aspetto della vita.

A questo serve il governo Draghi e l’unanimismo parlamentare che lo sostiene; a questo servono i fondi europei che produrranno “ripresa” per il mondo delle imprese e della finanza e pretenderanno “resilienza” dalle popolazioni. La pandemia ha scoperchiato la nostra fragilità e vulnerabilità, rendendo chiara l’interdipendenza fra le persone e fra queste e l’ambiente dentro il quale vivono, e ha reso chiaro come il compito di tutte e tutti noi debba essere quello di far diventare fratture le faglie aperte e porre la sfida al livello necessario: l’alternativa di società.

Uscendo dall’economia del profitto, per una società della cura, che metta al centro la vita e la sua dignità, che sappia di essere interdipendente con la natura, che costruisca sul valore d’uso le sue produzioni, sul mutualismo i suoi scambi, sull’uguaglianza le sue relazioni, sulla partecipazione le sue decisioni.

Il ventennale di Genova arriva esattamente all’interno del bivio che abbiamo di fronte: sapremo cogliere collettivamente il lascito di quel movimento, costruendo nel prossimo autunno una nuova convergenza, capace di includere tutte le esperienze, le vertenze e le lotte che quotidianamente attraversano il Paese e di produrre una grande mobilitazione sociale che riapra la possibilità di un futuro degno per tutte e tutti?

Di questo discuteremo a Genova lunedì 19 luglio in un’assemblea nazionale in Piazza Matteotti dalle 14.30 alle 21.00; di questo discuteremo anche la mattina successiva in un’assemblea europea e internazionale. Per poi andare, tutte e tutti, alle 15 di martedì 20 luglio in piazza Alimonda.

Per non dimentiCarlo.