Guardie armate sul ponte centrale, interdetto a tutti gli altri, compresi i portuali saliti a bordo per caricare tubi per gasdotti – e anche per controllare il resto del misterioso carico. E poi protocolli di sicurezza speciali per esplosivi e liquidi infiammabili per i «misteriosi» 12 container sigillati nella stiva. Così è stato «operato» ieri il mercantile Bahri Jeddah, la quarta nave saudita a fare scalo nel porto di Genova sotto lo sguardo dei camalli, in mobilitazione permanente contro il traffico di armamenti per la guerra in Yemen.

La Bahri Jeddah è arrivata a Genova ieri mattina, in anticipo di qualche giorno sui programmi, per ripartire subito, nel pomeriggio. «Questa volta non abbiamo scioperato perché ci hanno assicurato che dovevamo caricare solo tubature per la compressione del gas – spiega Rosario Carvelli, 41 anni, delegato Filt-Cgil del porto e del Collettivo autonomo lavoratori portuali – ma anche perché volevamo renderci conto della situazione a bordo». Hanno scoperto così – non potendo accedere al manifesto di carico che è in mano solo al capitano, allo spedizioniere e al destinatario della merce – una fornitura di elicotteri militari Boeing Chinook, di produzione statunitense ma già con le insegne della Indian Air Force e poi i 12 container sotto sorveglianza speciale che sicuramente contengono ordigni e attrezzature pesanti, dalle bombe ai carri armati, caricati nei porti della North Carolina e della costa atlantica canadese e statunitense e destinati a alimentare le guerre in Medioriente e nel Golfo persico.

«Genova è il primo porto in Italia e possiamo permetterci di eliminare questi transiti della compagnia Bahri – dice ancora il delegato sindacale della Cgil – sapendo bene che nelle guerre sono sempre i poveri e gli operai come noi a morire». Racconta di aver partecipato in questi mesi ad un incontro a Torino dove ha conosciuto una yemenita. «Lei ha raccontato i dettagli del massacro di civili che è in corso nel suo Paese e di cui i media italiani parlano molto poco, ci ha ringraziato per gli scioperi e per i presidi contro le navi della Bahri, ero orgoglioso, le ho promesso che non ci fermeremo. Non siamo soli del resto, le assemblee a Genova sono sempre partecipate, c’è un movimento, una sensibilità, non solo qui ma anche in altri porti e città».

Il mercato delle armi è in grande fermento – spiega Carlo Tombola, ricercatore della coalizione di ong per la pace che supporta le proteste – e chi tira le fila di questo enorme business sono, non solo i produttori, ma gli intermediari e le grandi banche, i grandi trasportatori. «Non è semplice liberarsi dal ricatto dei posti di lavoro – riconosce Tombola – ma grazie alla sensibilità dei lavoratori possiamo intervenire sulle catene logistiche».