Il trasporto pubblico è molto sfruttato dai genovesi: il 32,8% degli spostamenti avviene infatti con un mezzo pubblico, una percentuale simile a quella degli spostamenti in auto (circa 33%), il resto della gente va a piedi (25%), moto (7,4%) e pochissimi in bici (0,1%). In controtendenza rispetto a tutte le grandi città europee sopra i 500mila abitanti, a Genova però quasi la totalità del trasporto pubblico è su autobus (94%), e non esistono linee di tram.

Il Comitato «Sì Tram» di Genova, nato nel dicembre 2013, continua da 7 anni la sua battaglia: «Servono corsie riservate, mezzi capienti e sincronizzazione delle corse per ridurre i tempi di attesa quando si cambia (coincidenze). Con un sistema di trasporto più efficiente si può pensare di ridurre lo spazio ai mezzi privati creando corsie riservate, zone pedonali, parcheggi ridotti, marciapiedi più larghi. Visto che gli autobus sono insufficienti per la nostra città, resta solamente il tram che concilia tutte queste esigenze, con qualche controindicazione superabile». Così spiegano Massimo Palomba e Rinaldo Mazzoni, presidente e vicepresidente del Comitato.
In seguito alla pandemia Covid la situazione è ancora più drammatica per il trasporto pubblico e il traffico privato inonda strade e autostrade.
A fine maggio 2020 il Comitato «Sì Tram», insieme ad altre associazioni, (Wwf Genova, Fridays For Future, Legambiente Liguria, Associazione Mobilita Genova e Famiglie Senz’auto Genova), dopo aver richiesto accesso gli atti, ha contestato la richiesta del Comune al Ministero dei Trasporti, per il finanziamento del progetto filobus con 471 milioni di soldi pubblici.

Il filobus è un mezzo elettrico, a gomma, con minor capienza del tram: «Abbiamo scoperto incredibili incongruenze. La nostra relazione inviata al Ministero sembra avere stoppato l’approvazione, visto che il ministro l’aveva promessa al nostro sindaco per i primi giorni di giugno. Annunciata a mezzo stampa tale iniziativa, siamo stati ovviamente additati dal sindaco come dei disfattisti». Continuano Mazzoni e Palomba: «Una delle incongruenze più grosse che abbiamo rilevato è per esempio la capacità reale dei mezzi (115 passeggeri), mentre nei parametri del simulatore, che risulta essere stato utilizzato, ne sono stati dichiarati 140 avendo come risultato la quasi saturazione dei filobus in diversi tratti: questo vuol dire che le persone viaggerebbero in condizioni pessime o addirittura non riuscirebbero a salire, le corse andrebbero in ritardo, etc…».

Il progetto complessivo, insomma, secondo le associazioni, tende a peggiorare l’attuale trasporto pubblico. Un progetto che ha il dichiarato obiettivo della riduzione di ben 1 milione di km di servizio/anno e che, coerentemente a ciò, prevede i tagli non solo al servizio «collinare» ma anche a linee importanti, introducendo un modello basato sulle «rotture di carico» (cioè gli scomodi cambi obbligatori di mezzo con attesa di altra linea). Le associazioni denunciano la mancanza di studi specifici sulla sostenibilità ambientale, oltre al fatto di mancare clamorosamente l’obiettivo di riduzione della CO2, che si ferma a un misero -2%.

E di certo non sarà una nuova autostrada come la Gronda, in progetto a Nord di Genova, bocciata neanche un anno fa dalla analisi costi-benefici – voluta dall’ex ministro dei Trasporti Toninelli, e resuscitata dal recente «Piano Italia Veloce» – a ridurre il traffico delle auto, in quanto la maggior parte (80%) del traffico autostradale attuale è interno o di scambio col territorio genovese. Auto che potrebbero essere tolte dalla strada grazie ad un efficiente servizio pubblico, basato sulle rotaie, in una logica di sostenibilità ambientale e di riduzione di emissioni della CO2.

Il completamento del raddoppio della ferrovia Genova -Ventimiglia, attualmente in esecuzione (citato anche nel piano Italia Veloce), non piace agli attivisti del Comitato «Si Tram», che ricordano: «Questo progetto prevede un arretramento della linea ferroviaria a monte. In questo modo le stazioni vengono dimezzate e quelle superstiti decentrate, alcune vengono allontanate anche di 5 km dai centri abitati, come nel caso di Albenga. L’utenza si è già molto ridotta. È una follia».