Traffico paralizzato, blocchi in entrata e in uscita dalla città fin da prima dell’alba, file di auto e mezzi pesanti lunghe anche un paio di chilometri, sia in direzione di Licata e Agrigento che verso Catania. Ha avuto un successo palpabile la protesta degli operai dell’indotto Eni a Gela che, anticipando lo sciopero nazionale di oggi dei lavoratori di Eni e Saipem contro la cessione di Versalis, hanno deciso di bloccare la città, e chiamare alle loro responsabilità le istituzioni.

La decisione dei lavoratori dell’ indotto legato allo stabilmento petrolchimico dell’Eni ha avuto la benedizione dei sindacati di categoria, e dei vertici confederali di Cgil, Cisl e Uil. Il risultato è stato di grande effetto: la città è diventata irraggiungibile per gran parte della giornata, grazie ai blocchi organizzati da alcune centinaia di operai. Tutti lavoratori delle varie aziende che operano tramite commesse per l’impianto. E che ora temono, al pari degli addetti dell’Eni, il progressivo disimpegno della multinazionale dalla Sicilia.

Singolare ad esempio è il caso della Smim Impianti, azienda storica che da tempo immemorabile lavora per il petrolchimico. A quest’ultima è stata rifiutata la richiesta per la proroga della cassa integrazione straordinaria per 112 operai. Una situazione davvero drammatica, se si pensa che già in dicembre nella stessa azienda i licenziamenti erano stati ben 72, e il rifiuto della cassa integrazione di fatto è il preludio a un licenziamento effettivo.

Quello della Smim Impianti è un esempio emblematico, disegna perfettamente il quadro che si sta delinenando. Le aziende che gravitano nell’indotto del petrolchimico temono di non poter più sopravvivere senza le commesse di Eni, che da parte sua sembra disimpegnarsi sempre più. Dal canto loro i lavoratori hanno chiesto addirittura di poter essere delocalizzati in altre sedi. La risposta però è stata negativa, per un preciso motivo: essendo tutelati da diritti acquisiti nel tempo, oggi sono meno appetibili per un mercato del lavoro che di diritti acquisiti non vuol proprio sentir parlare.

Allo spettro della chiusura della raffineria, e della sua mancata riconversione in green refinery, per i lavoratori delle imprese appaltatrici si aggiunge la beffa della mancata apertura dei cantieri previsti in un protocollo d’intesa del novembre 2014: un accordo istituzionale che avrebbe dovuto portare a realizzare opere per 2,2 miliardi di euro in Sicilia. Così ora Cgil, Cisl e Uil parlano di «inganno di Stato», e puntano il dito contro l’Eni e il governo, che più volte hanno definito la vertenza Gela ormai risolta.

Dall’interno dello stabilimento Eni è arrivata la solidarietà della Fiom. «Sosteniamo la mobilitazione dei lavoratori delle imprese dell’indotto – spiega Sergio Bellavita, responsabile per la Fiom del settore petrolchimico – siamo loro vicini e chiediamo che arrivino risposte occupazionali e di sostegno al reddito, come prevedeva peraltro il protocollo sottoscritto su Gela. Chiederemo al ministero dello Sviluppo economico e al governo la convocazione di un tavolo specifico sui lavoratori dell’indotto, perché la situazione è drammatica e inaccettabile. Non è più rinviabile l’individuazione di una soluzione che consenta di riconquistare dignità e certezze nella vita di centinaia e centinaia di uomini e donne».

Nonostante la pioggia e il freddo, la protesta dovrebbe andare avanti a oltranza nelle prossime ore, per unirsi allo sciopero nazionale di oggi di tutti i lavoratori di Eni e Saipem. Una mobilitazione indetta a causa della vendita da parte di Eni del comparto chimico – Versalis – che secondo i sindacati potrebbe essere preludio ad altre liquidazioni. Per far diventare Eni una broker oil concentrando investimenti e attività solo in ricerca ed estrazione di gas e petrolio.

«Per Eni cedere la raffinazione significa in larga parte perderla – osserva in proposito la Filctem Cgil – e rinunciare alla chimica “verde” significa precludere futuro all’Italia. Eppure Eni si accinge a chiudere una tra le più importanti pagine dell’industria italiana, che pure ha consentito, attraverso l’integrazione raffinazione-chimica, di offrire una forte spina dorsale all’Italia industriale».