«Gaza è un simbolo di fermezza e dignità, custode dei diritti e della storia. Portiamo un messaggio al nostro popolo nella Striscia: il ripristino della speranza, l’unità delle istituzioni di governo e la ricostruzione. Vengo per assumere le nostre responsabilità». Con la voce a tratti rotta dall’emozione, il premier palestinese Rami Hamdallah, ieri ha salutato la gente della Striscia di Gaza e i dirigenti del movimento islamico Hamas giunti ad incontrarlo. Emozione comprensibile. Hamdallah ha presieduto la prima riunione a Gaza dal 2007 di un governo palestinese di consenso nazionale, dando sfogo concreto alla riconciliazione tra il partito Fatah e Hamas avvenuta ad aprile. Uno sviluppo politico reclamato a lungo da tutti i palestinesi ma fortemente osteggiato da Israele che, si dice, solo per le pressioni “occidentali” non ha ostacolato l’ingresso a Gaza di Hamdallah attraverso il valico di Erez.

Il premier palestinese e i 12 ministri giunti assieme a lui dalla Cisgiordania (altri cinque sono di Gaza), hanno visitato in silenzio i centri abitati della Striscia, da Beit Hanun a Shajayea, devastati dai bombardamenti aerei e dai cannoneggiamenti israeliani della scorsa estate. «Quello che abbiamo visto è terribile e doloroso», ha successivamente commentato Hamdallah, «Abbiamo anni di divisioni dietro di noi e la massima priorità di questo governo è di garantire agli abitanti di Gaza il ritorno a una vita normale e l’unità con la Cisgiordania». Salutato in apparenza con calore dalla gente lungo le strade, Hamdallah ha riunito il governo nella residenza del presidente dell’Anp Abu Mazen. Quindi ha incontrato l’ex premier islamista Ismail Haniyeh, leader di Hamas a Gaza. Hamdallah ha anche reso omaggio alle vittime della scorsa estate, civili e combattenti, che, ha detto, «hanno protetto la dignità del nostro popolo e irrigato la terra di Palestina con il loro sangue e una leggendaria fermezza».

 

Hamdallah ieri ha lasciato intendere che tra gli obiettivi della storica riunione a Gaza non c’è solo la necessità di estendere l’autorità del governo sulla Striscia ma anche, se non soprattutto, l’urgenza di creare le condizioni politiche ed amministrative per garantire l’arrivo nelle casse palestinesi dei 4 miliardi di dollari che occorreranno per ricostruire Gaza. «Abbiamo avviato la riconciliazione in modo che la comunità internazionale mantenga le sue responsabilità nella ricostruzione e metta fine all’assedio di Gaza aprendo tutti i valichi», ha detto. Domenica al Cairo, per la conferenza dei donatori per Gaza, ci saranno almeno 30 ministri degli esteri, tra i quali Federica Mogherini, le delegazioni di 50 Paesi, il capo uscente della diplomazia Ue Catherine Ashton e di quella Usa, John Kerry, oltre ad Abu Mazen e al segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon. Non sarà facile per i palestinesi vincere la diffidenza dei potenziali donatori, preoccupati di impegnarsi nella ricostruzione di un territorio colpito da tre offensive militari israeliane in cinque anni. L’ultima, “Margine Protettivo”, ha fatto quasi 2.200 morti palestinesi (e 73 israeliani), ha distrutto o danneggiato decine di migliaia di edifici e infrastrutture e centinaia fabbriche e aziende. Mascherata dalla richiesta di ricostruire in modo “permanente”, c’è la condizione posta da Europa e Usa del ritorno delle forze di sicurezza dell’Anp nella Striscia di Gaza. La guardia presidenziale di Abu Mazen e le Nazioni Unite, come chiede Israele, avranno il compito di monitorare l’ingresso e la destinazione dei materiali per la ricostruzione.

 

Quello tra Fatah e Hamas è un matrimonio d’interessi, non certo d’amore. Abu Mazen ha bisogno di una ampia base di sostegno politico in Cisgiordania e a Gaza alla sua iniziativa al Consiglio di Sicurezza dell’Onu per il ritiro di Israele dai Territori occupati. Da parte sua Hamas vuole rompere l’isolamento e ottenere un maggior riconoscimento regionale e internazionale. «In politica questo tipo di matrimonio è legale e comunque dopo sette anni di divisioni e conflitti interni tutti i palestinesi volevano la riconciliazione e il governo unitario – ci spiega Hamada Jaber, analista del Palestinian Center for Policy and Survey Research –, le insidie però non mancano perchè Fatah e Hamas hanno ideologie molto diverse. Il senso di responsabilità (delle sue formazioni politiche) e un accordo sulla sicurezza a Gaza (tra i servizi dell’Anp e il braccio armato di Hamas, “Ezzedin al Qassam”) saranno decisivi per il successo di questa importante fase politica».