A 24 ore dall’incendio di al-Russafa, a Baghdad, ieri il ministero degli Interni iracheno ha formato una commissione di inchiesta sulla distruzione di un numero ancora imprecisato di schede elettorali delle presidenziali del 12 maggio scorso.

Già domenica il ministero ha parlato di «atto doloso», giunto dopo una sequela di eventi che rischia di trascinare il paese nel caos: dopo un voto che gli osservatori avevano definito tranquillo, erano arrivate denunce di irregolarità da diverse parti del paese, da cui la decisione del parlamento di ricontare a mano le circa undici milioni di schede infilate nell’urna.

E domenica il fuoco ha devastato l’edificio dove erano depositate il 60% delle schede del quartiere al-Russafa (uno dei distretti elettorali più grandi, due milioni di voti validi, la maggioranza andati alla lista del religioso sciita al-Sadr e alla coalizione delle milizie sciite), secondo alcuni un modo rapido per liberarsi di prove di manomissioni. In realtà si sa ben poco. Difficile però dire che non si sia trattato di un atto politico.

A un mese dal voto, con la lista sadrista-comunista primo partito ma lontana dalla maggioranza assoluta, ancora nessun governo è nato nonostante gli appelli di al-Sadr alla formazione di una coalizione ampia e nazionale e la decisione del religioso di disarmare le sue Brigate della Pace.

Dietro le quinte si muove il divisivo ex premier al-Maliki che nei giorni scorsi, riporta Agenzia Nova, avrebbe incontrato il generale iraniano Suleimani, capo ufficioso delle milizie sciite irachene anti-Isis e longa manus di Teheran in Iraq: cuore della discussione la formazione del futuro esecutivo.