Poco più di quindici anni fa l’Italia disputò il suo primo incontro nel Sei Nazioni. Era il 5 febbraio dell’anno 2000 e si giocava allo stadio Flaminio di Roma. Avversario: la Scozia, che l’anno precedente aveva vinto l’ultima edizione a cinque del torneo, in virtù di un migliore quoziente punti rispetto all’Inghilterra.
Al Flaminio c’era aria di festa, mista a emozione e curiosità: come se la sarebbero cavata gli azzurri? Non era stato facile farsi ammettere in un club tanto esclusivo come l’International Championship. Per farlo, la nazionale italiana aveva dovuto sottoporsi a un duro apprendistato, svolto per lo più in coppa FIRA contro rumeni, sovietici, spagnoli e georgiani, avversari sempre coriacei. Poi, tra il 1995 e il 1998, mentre il rugby abbracciava il professionismo, erano giunti i risultati che avrebbero schiuso le porte del torneo. Sotto la guida saggia e sapiente di George Costes, l’Italia aveva confitto tre volte l’Irlanda, una volta la Scozia e una la Francia. Giocava bene, quella squadra, divertiva e vinceva. Il 16 gennaio 1998 il comitato del Cinque Nazioni accettò l’Italia nel Championship a partire dal 2000.
E dunque era giunto il giorno. In quel 5 febbraio al vecchio stadio le cose sembravano ancora un po’ improvvisate se non pionieristiche. La sala stampa era un antro oscuro adiacente agli orinatoi, la capienza era insufficiente, gli standard del Flaminio complessivamente inadeguati rispetto a quelli dei grandi, nobili stadi del torneo più antico del mondo. Ma per la prima volta Roma si trovava invasa da una tribù pacifica di tifosi di un’altra specie: le truppe gonnellate scozzesi mettevano allegria. Si percepivano buone vibrazioni.
Fu un botto. L’Italia, che i bookmakers quotavano 250-1 ed era allenata da un neozelandese, Brad Johnstone, vinse la partita 34 a 20. Diego Dominguez fu spietato e mise dentro sei calci piazzati e tre drop. Ciccio De Carli segnò l’unica meta azzurra. Massimo Giovannelli, il capitano, si procurò il distacco della retina e fu quella la sua ultima, partita in nazionale. Nulla o quasi sembrava più impossibile. Ma fu un fuoco di paglia, un’illusione che durò appena due settimane. Il 19 febbraio l’Italia andò a Cardiff e all’Arm’s Park fu travolta 47-16 dai gallesi. Poi perse le altre tre partite con punteggi pesanti. L’anno successivo, il 2001, fu sempre sconfitta, e l’anno dopo ancora. Nelle prime tre edizioni del torneo vinse un solo match, all’esordio, e perse gli altri quattordici.
La Scozia rimase tuttavia per molti anni l’avversario da battere. Il suo rugby era entrato in un tunnel e sembrava non uscirne più. Era crisi: stadi vuoti, stile di gioco combattivo ma tecnicamente povero. Delle tre franchigie che disputavano le coppe europee una, i Border Reivers di Galashiels, fu sciolta nel 2007 e rimasero solo Edimburgo e Glasgow. Anni di magra culminati, proprio nel 2007 con la sconfitta al Murrayfield contro l’Italia, unica partita che gli azzurri siano mai riusciti a vincere in trasferta. Fu il momento di massima euforia per l’ovale italiano: due settimane dopo giunse anche la vittoria, abbastanza rocambolesca, al Flaminio contro il Galles e l’Italia chiuse il torneo al quarto posto. Pochi mesi dopo, in coppa del mondo, la Scozia ci rese la pariglia. A Saint Etienne, in un match che decideva il passaggio al secondo turno, i calci piazzati di Chris Paterson consentirono agli scoti di superare di soli due punti la squadra azzurra. Fu una serata malinconica che ridimensionò le troppe ambizioni del rugby italiano.
Il bilancio delle sfide tra scozzesi e italiani nel Sei Nazioni è di sei vittorie e nove sconfitte. Con nessun’altra squadra gli azzurri hanno fatto meglio. Una sfida che è spesso coincisa con la lotta per evitare il cucchiaio di legno, il trofeo virtuale assegnato all’ultima classificata. L’anno scorso all’Olimpico l’Italia è stata beffata all’ultimo minuto da un drop di Duncan Weir: 20-21 e finale di partita tatticamente dissennato da parte degli azzurri. Nel frattempo la Scozia si è ripresa e ha scalato posizioni nel ranking mondiale. Una nidiata di giovani di talento, solidità nella mischia (allenata da un italiano, Massimo Cuttitta) e trequarti di qualità hanno dato nuova linfa al suo gioco. Glasgow comanda la classifica del Pro12 (l’ex Celtic League) dove Zebre e Treviso occupano stabilmente le ultime posizioni. L’orrenda maglia degli anni passati è stata cestinata e si è tornati all’antica e gloriosa blue marine. L’arrivo di Vern Cotter, allenatore neozelandese – è il terzo kiwi di scena sulle panchine del Sei Nazioni, dopo Warren Gatland (Galles) e Joe Schmidt (Irlanda) – ha coinciso con un autunno promettente: vittorie con Argentina e Tonga, sconfitta di strettissima misura con gli All Blacks.
Insomma, è una Scozia da temere, sebbene abbia perso i primi due match di questo Sei Nazioni contro Francia e Galles. Il suo limite: buoni primi tempi e cedimento nei secondi. Ha inoltre perso due giocatori importanti: il seconda linea Richie Gray, infortunato, e l’apertura Finn Russell (squalificato), assenze che vengono in parte compensate dal rientro del terza linea Adam Ashe, giovane rivelazione nei match di novembre. Anche l’Italia hai i suoi problemi, causa infortuni: mancheranno sicuramente Martin Castrogiovanni, Andrea Masi e Marco Bertolami, mentre sono in dubbio Leonardo Sarto e Luca Morisi (due mete contro gli inglesi). Sfida difficile, sfida complicata.

 

BIG MATCH

Oggi e domani si gioca il terzo turno del Sei Nazioni di rugby. La classifica vede attualmente Inghilterra e Irlanda in testa a pari punti (4), poi Francia e Galles (2), ultime Scozia e Italia, finora sempre sconfitte. Il quarto turno è in programma tra due settimane.
Questa terza giornata è già decisiva per le sorti del torneo. A Edimburgo, stadio di Murrayfield, va in scena la sfida Scozia-Italia (DMax, 15.30), le ultime in classifica, e già si parla di probabile «cucchiaio di legno» per la perdente. Ma mentre gli azzurri hanno già affrontato Irlanda e Inghilterra, le due squadre più in forma, e dovranno poi vedersela con Francia e Galles, per gli scozzesi il cammino è tutto in salita dovendo giocare con inglesi e irlandesi nelle due ultime giornate del torneo. La Scozia, che gioca in casa ed è reduce da un buon rodaggio autunnale, è data per favorita, ma il Murrayfield è pur sempre l’unico stadio che l’Italia è mai riuscita a espugnare nella storia del torneo.
A seguire (DMax, 18.00) il match di Parigi tra Francia e Galles. I francesi hanno esordito battendo la Scozia con qualche sofferenza e hanno poi perso la sfida contro l’Irlanda; il XV del dragone è stato invece battuto dall’Inghilterra nel primo match ma è riuscito a superare la Scozia in trasferta. La perdente sarebbe inevitabilmente esclusa da ogni sogno di una vittoria finale.
Ma è domani il big match di questo terzo turno. A Dublino scendono in campo Irlanda e Inghilterra (Dmax, 16.00) entrambe in corsa non solo per la vittoria finale ma anche per il Grande Slam e la Triple Crown, il trofeo che va alla squadra delle home unions che riesce a sconfiggere le altre contendenti delle Isole Britanniche. Il pronostico è apertissimo e il match si annuncia spettacolare, ma l’Inghilterra ammirata nelle prime due partite appare leggermente superiore all’avversaria, che dovrà rinunciare nuovamente a Jamie Heaslip, uno dei suoi fuoriclasse. Per molti la sfida del Lansdowne Road è il match da cui uscirà la squadra vincitrice del torneo. (p.fr)