La domanda è più «quando» che «se». Il lockdown alla francese, evitando cioè il blocco della produzione manifatturiera e della scuola, è dietro l’angolo, imposto dalle curve stesse. Il Dpcm appena licenziato è varato, come ha spiegato Conte, su uno scenario di gravità 3 fra quelli delineati dal Cts. Ma il quadro è già sull’orlo dello scenario 4, il più grave. Alcune regioni ci sono immerse. Ma se il blocco è già deciso, perché rinviare col rischio di trovarsi tra 10 giorni in una situazione ben più pesante? Le risposte sono molte. Prima di tutto, varare un nuovo Dpcm pochi giorni dopo quello precedente, quando è già stato messo in campo un decreto Ristori, implicherebbe un pessima figura. Non è solo questione di non perdere la faccia. Senza un livello alto di fiducia da parte della popolazione, che vacillerebbe anche più di quanto già non avvenga, non c’è misura che tenga.

CI SONO ALTRE E PIÙ stringenti considerazioni che impongono di posporre. Le opposizioni chiedevano a voce altissima di votare, punto per punto, l’ultimo Dpcm: richiesta impossibile da esaudire perché il decreto era già stato varato. Ma non sono solo le opposizioni a insistere perché il parlamento sia coinvolto prima e non dopo le definizione dei provvedimenti e Conte si è impegnato a presentarsi mercoledì in aula per comunicazioni sulle prossime mosse, con tanto di voto. Se arrivasse all’appuntamento con un nuovo Dpcm già varato sarebbe il finimondo.
Un calendario del genere, del resto, permetterà di arrivare al probabile lockdown, domenica della prossima, avendo verificato i risultati delle ultime misure. Nessuno spera che bastino. Il margine di possibilità di evitare il lockdown è affidato a ulteriori restrizioni da decidere invece subito. Non nazionali ma regionali e subregionali, tali dunque da non richiedere un decreto. Al ministero della Sanità fanno capire chiaramente che le chances di evitare la chiusura generalizzata dipendono proprio dall’adozione di decisioni più drastiche nelle regioni flagellate Non a caso Brusaferro e Locatelli hanno martellato su questo punto, facendo capire di ritenere necessaria un’ulteriore stretta sulle aree più colpite.

IERI SERA CONTE ha riunito il vertice dei capidelegazione, ma senza mettere all’odg il tema dei lockdown mirati, tanto che al summit non partecipava il ministro delle Regioni Boccia. Difficile credere che non se ne sia parlato affatto, date l’urgenza della questione e la pressione di Sanità e Cts, ma sul tavolo c’era un altro tema chiave: la scuola. Nonostante le smentite della ministra Azzolina è evidente che la scuola, con tutto quel che comporta in termini di trasporti ma anche di socialità all’entrata e all’uscita, è un nodo centrale. La chiusura continua a essere esclusa ma per la prima volta il governo inizierebbe a considerare l’ipotesi di estendere la Dad anche alle medie inferiori. Scelta difficile perché, mentre la Dad nelle superiori impatta in misura minima con le attività produttive, tenere a casa i ragazzi dagli 11 ai 14 anni avrebbe un’immediata ricaduta sul lavoro dei genitori.

La crisi sanitaria e quella economica, per l’ennesima volta, pongono così il governo di fronte al dilemma peggiore, quello tra le ragioni dell’economia e quelle della salute pubblica. Ieri i dati del terzo trimestre hanno regalato a Conte e Gualtieri una boccata d’ossigeno: con un rimbalzo del Pil dell’16,1% vanno al di là delle previsioni più rosee del Mef, che scommetteva sul 13%. È un risultato ottimo, il doppio della ripresa tedesca. Il Pil resta al di sotto di quello del terzo trimestre 2019 del 4,7% ma dati così rosei dovrebbero bastare, secondo Gualtieri, a mantenere la previsione di un deficit al 9% contenuta nella Nadef, anche se non quella di un rilancio sino al 6% nel 2021. Niente paura: «La ripresa è solo rinviata», assicura il ministro.

IN UN ALTRO MOMENTO un simile risultato sarebbe stato accolto con i fuochi d’artificio. Non oggi. Perché i risultati del quarto trimestre, con il Covid tornato a spadroneggiare, saranno diversi. Perché quel rimbalzo portentoso è dovuto anche all’illusione estiva di essersi lasciati alle spalle la pandemia, che ha spinto ad abbandonare la prudenza: stavolta si può star certi che, anche quando il contagio avrà allentato la presa, l’incauto festino non si ripeterà. Perché, infine, nessuno può prevedere lo sviluppo e la durata della nuova ondata.
Ma c’è un motivo di preoccupazione più immediato e stringente. I miliardi stanziati nel decreto Ristori, contati per rientrare pelo pelo nel programmato deficit al 9%, non bastano per ristorare le categorie colpite e non basteranno certo per fronteggiare un nuovo lockdown. Nuovo deficit e nuovo scostamento di bilancio saranno presto inevitabili.