Sembra profilarsi un anno dei presidenti per i documentari nel mondo. Da pochi giorni è uscito l’ultimo film critico, inquietante e divertente di Michael Moore Fahrenheit 11/9 centrato su Donald Trump e sulla domanda «cosa cavolo è successo?». Alla recente Berlinale si è affermato come miglior documentario The Waldheim Waltz, dedicato al controverso capo di stato austriaco, di Ruth Beckermann a cui Dok Leipzig dedica un omaggio. Il festival internazionale del documentario e dell’animazione apre la sua 61° edizione lunedì 29 con l’ultimo lavoro del regista tedesco Werner Herzog e André Singer Meeting Gorbachev in prima europea, proiettato anche gratuitamente nell’ala est della stazione centrale. Il film, che sarà presentato il giorno dopo alla Viennale, è una lunga intervista all’ex-presidente dell’Unione Sovietica che ripercorre gli anni della perestroika e della reazione a catena del crollo e delle trasformazioni dei regimi al potere nell’Europa orientale. Ritratto umano d’autore comprendente una biografia narrata in voce over con reperti d’archivio, si tratta per dirla con le parole di Herzog di un incontro «segnato dalla Storia».

Seduti nell’ufficio moscovita dell’ex capo di stato Urss, le conversazioni fra Herzog e Gorbachev si focalizzano sui percorsi della storia passata, fra cui il passaggio alla riunificazione della Germania, tema di particolare interesse a Lipsia. Il regista e lo statista parlano delle difficoltà e dei successi di quest’ultimo durante il suo incarico, compresi gli errori commessi. Nel film Gorbachev parla apertamente delle decisioni passate che avrebbe potuto prendere in modo diverso alla luce odierna, ma anche del presente e del futuro e del perché la situazione politica attuale è così difficile sia in Usa che in Russia. Il confronto a distanza fra le opere di Herzog e di Moore si rende quindi ancora più interessante dopo la recente dichiarazione di Michail Gorbachev, che nel 1987 firmò la moratoria sui missili nucleari con l’allora presidente degli Usa Ronald Reagan, definendo la decisione di Trump di disdire l’accordo storico «un errore» che denota «ristrettezza mentale» e che «minerà tutti gli sforzi compiuti dai leader dell’Unione Sovietica e dagli stessi Stati Uniti per raggiungere il disarmo nucleare». Anche a Werner Herzog, che incontrerà il pubblico per rispondere a domande, Dok Leipzig dedica un omaggio scelto presentando sia opere documentaristiche quali Grizzly bear e Into the abyss che narrazioni filmiche di finzione fra cui Fitzcarraldo e Nosferatu.

Il festival fondato nel 1955 nella DDR in piena guerra fredda e oggi uno dei principali eventi europei nel settore del documentari è da sempre crocevia cinematografico fra est e ovest sensibile ai mutamenti politici e sociali. Come altri e forse più perciò dedica una propria retrospettiva al ’68. Motto di questa edizione infatti è «Chiediamo l’impossibile!», riecheggiando lo slogan scritto sui muri del maggio parigino. Anno simbolo di protesta epocale e rinnovamento (anche a Praga con la sua fervida primavera conclusa brutalmente dall’invasione dei carri armati dell’Urss e degli alleati del Patto di Varsavia), ha segnato indelebilmente anche la storia del cinema. Quindi più che sui centri di rivolta, il festival concentra la sua retrospettiva «68. An Open Score» con sette programmi dedicati a come quella cultura ha riverberato in provincia e anche al suo desiderio di nuovo cinema. In linea generale l’intento dichiarato del festival diretto da Leena Pasanen affiancata dal programmatore Ralph Eue è quello di proporre film portatori di cambiamento o che raffigurino processi di trasformazione, con l’attenzione puntata sul potere emancipatore dell’arte.

Largo quindi ai film che fanno le cose diversamente «sia in animazione, documentario o una fruttuosa combinazione di entrambi» afferma Eue spiegando «per noi un documentario è molto più di un mezzo per trasmettere informazione, mentre i film animati usano il potere dell’immaginazione per aprire un mondo che va ben oltre la vista e il suono». Per questo le sezioni di film in competizione, lunghi o corti, internazionali o tedeschi, specificano tutte «documentario e animato», anche se il secondo sembra meno in luce rispetto ad edizioni precedenti. Non c’è più purtroppo la presenza di programmi specifici dedicati al documentario animato, l’ibridazione fra le due anime di questo festival che proprio a Dok Leipzig aveva da anni dimora naturale. Cionondimeno questa edizione ne presenta sette distribuiti fra cinque sezioni diverse. Il film già a Cannes di Anja Kofmel Chris the Swiss ricostruisce la storia vera di un giovane giornalista svizzero, cugino della regista, morto misteriosamente con la divisa da mercenario durante la guerra in Croazia nel 1992. In Roughhouse di Jonathan Hodgson si entra nel pieno sviluppo di una guerra di nervi sfociante in bullismo aggressivo fra coinquilini maschi di Liverpool fallaci in quanto a pagamenti e pulizie, narrata in prima persona con grafica ruvida e livida.