Domenica scorsa, all’ombra della «grande muraglia» di Tijuana, abbiamo parlato con Gaspar Rivera Salgado della Fiob.

Di quanti lavoratori parliamo?

Non esistono dati affidabili ma nella valle di San Quintin lavorano tra gli 80.000 e i 120.000 braccianti. È un’enorme zona destinata all’agricoltura da esportazione e già dagli anni ’80 gli osservatori dei diritti civili hanno segnalato numerosi abusi nelle condizioni di vita e di lavoro, compresa la mancanza di acqua potabile e di un sindacato.

Come è diventato un centro così importante?

Società come la Driscoll usufruiscono delle infrastrutture costruite dal governo federale, si tratta di uno dei maggiori gruppi del settore che investe fortemente nell’ingegneria genetica in modo da poter coltivare raccolti pregiati come le fragole a molte diverse latitudini della costa pacifica e particolarmente in «Baja» questo è possibile per tutto l’anno. In tutta la regione hanno accesso alla stessa forza lavoro composta principalmente da indigeni messicani. A San Quintin hanno reclutato decine di migliaia di lavoratori senza fornirgli alcuna infrastruttura. È un deserto senza acqua potabile né il minimo necessario per vivere. La situazione qui è drammatica.

Che prospettive ha la vostra vertenza?

I grandi coltivatori godono di forti coperture politiche con le famiglie più potenti dello stato e i sindacati tradizionali non rappresentano i braccianti. Per questo è importante la solidarietà internazionale come quella del Afl-Cio nordamericano e ancora di più la consapevolezza diretta dei consumatori dei prodotti che raccolgono questi braccianti.