Al Forum Mondiale di Davos, Donald Trump non ha perso tempo a rispondere alle inquietudini degli europei (e non solo) sul «veleno del populismo» a cui non si può rispondere con «il protezionismo» (Angela Merkel) e sui rischi di «grave crisi della mondializzazione» a cui è necessario «ridare un senso» (Emmanuel Macron).

Nel breve discorso in chiusura del Forum  (testo integrale), non più di una ventina di minuti in tutto, il presidente Usa si è presentato in versione rappresentante di commercio: «È il miglior momento per venire negli Stati uniti a investire», ha detto al mondo dell’economia e della finanza invitando a «ritrovare la strada del sogno americano», vantando «la più importante riforma fiscale da decenni» che fa degli «Usa il luogo per fare affari».

TRUMP NON PRENDE in considerazione le preoccupazioni per la svolta protezionista, che rischiano di aprire una guerra commerciale con la Cina ma anche con la Ue: «America First non vuol dire America Alone», «se l’America conosce la crescita anche il mondo la conoscerà», ha affermato, facendo planare però anche qualche minaccia sul fronte del commercio mondiale, che Trump pretende che sia “equo” ma solo dal suo punto di vista. Ha vantato le rinunce alla svolta energetica, la riduzione delle regolamentazioni «troppo pesanti», la sua conclusione è che il miglior programma «contro la povertà è avere un salario». La sera prima aveva cenato con un gruppo di dirigenti di multinazionali, dalla Total a Nestlé, da Volvo a Bayer, Nokia, Adidas ecc., per «vendere» la «piazza» Usa al mondo degli affari.

IL BREVE DISCORSO è stato accolto con pochi applausi. Ci sono stati anche alcune manifestazioni di dissenso, quando il presidente Usa ha criticato la «stampa viziosa, cattiva e falsa». Trump non si è preoccupato di dissipare le inquietudini sulle conseguenze della svolta protezionista, che sta trasformandosi in una perdita di leadership mondiale degli Usa. Trump ripete che gli Usa «non solo soli», ma secondo un recente studio Gallup realizzato in 134 paesi, la percezione della leadership Usa è in netto calo, al 30 per cento (al livello di Cina e Russia).

LA UE CERCA DISPERATAMENTE di ritrovare un’unità per colmare questo vuoto ed evitare che il potere economico mondiale si concentri in Asia, proponendo una mondializzazione dal volto umano, con l’obiettivo di porsi come leader nella transizione energetica. La Ue occupa il terreno, con gli accordi commerciali multilaterali (Canada, Giappone, Mercosur in prospettiva). Il Fondo europeo di difesa, come ha sottolineato Merkel mercoledì a Davos, è «molto importante» in questa fase storica, perché l’Europa finora si era «basata sugli Usa», ma «adesso che gli Stati Uniti si concentrano su loro stessi, noi dobbiamo prendere in mano il nostro destino».

LIMITANDOSI A DIRE che l’America non ha ottime relazioni commerciali con il resto del mondo, a invitare ad investire negli Usa, ma al tempo stesso a minacciare i partner, Trump fa l’impasse sul passato: le regole dell’ordine mondiale in vigore sono state tutte influenzate dagli Usa, dalla Nato alla Wto.

Ora Trump volta le spalle ai trattati internazionali, al Ttp del Pacifico, lasciando di fatto un ampio spazio alla Cina.

Alla Cina e alla Ue dice che quello che conta sono gli affari e si accontenta di promettere al mondo «l’amicizia» degli Usa.

Ma non dice nulla sulle «regole» condivise. Mette barriere doganali verso alcuni prodotti, invita gli imprenditori a investire vantando praticamente un dumping fiscale, mentre le multe che colpiscono società europee che lavorano negli Usa cominciano a creare seri problemi e danno un’idea del concetto di «equità» che ha in testa il presidente Usa.

In sostanza, un rapporto di forza, una giungla che non tiene conto dei vincoli sociali né ambientali. Una scelta da parte della prima potenza economica mondiale che fa pesare una minaccia mortale sul mondo, dal rischio di guerre (Iran, Corea del Nord) a quello ambientale.

E sociale: una giungla economica mondiale, non può che favorire reazioni di paura, politicamente esplosive.