«Sono una rocker e la realtà è che oggi il rock si è come.. ristretto», dice Courtney Love parafrasando Norma Desmond, la diva di Viale del tramonto quando nel capolavoro di Billy Wilder esclamava «Io sono ancora grande – solo che i film sono diventati piccoli!». Citazione involontaria forse, ma una certa aria da grand dame a cui il mondo sta un pò stretto innegabilmente circonda l’ex regina dell’Alt Rock e vedova Cobain. Oggi a 50 anni appena compiuti dichiara di aver definitivamente archiviato patemi da dipendenza e psicodrammi assortiti, seguiti alla tragica scomparsa del leader dei Nirvana e il triste strascico legale per il controllo del patrimonio. Un groviglio di contenziosi durato vent’anni in cui è andato di mezzo anche il rapporto con la figlia, sua e di Cobain, Frances Bean Cobain, oggi ventunenne con la quale per un periodo le uniche comunicazioni avvenivano per vie legali. Oggi in famiglia c’è stata una riconciliazione così come con gli ex-componenti dei Nirvana con i quali Love sta collaborando a un documentario e a una prossima biopic su Cobain. Intanto con una parte scritta per lei nella prossima stagione della serie tv Sons of Anarchy annuncia il ritorno al cinema, una carriera cominciata in modo propizio tanti anni fa con Alex Cox (Syd & Nancy, Diritti all’Inferno) e Milos Forman (Larry Flynt: Oltre Lo Scandalo, Man on the Moon) e poi abbandonata, anch’essa vittima della vida loca. Un ritorno, ci spiega, tutto dovuto a Sean Penn e Paolo Sorrentino….

Perché le interessava proprio Sons of Anarchy?

La trovo una storia molto shakesperiana, e poi da ragazza per un periodo sono stata in affidamento da una donna che era una biker mama in una gang di motociclisti ad Auburn, un paesetto della California. Quindi ho una certa idea di come funzioni quel mondo…

Conosce già l’intera storia del suo personaggio?

No, mi devo ancora incontrare coi produttori. In realtà avevo quasi deciso di non tornare più a recitare fino a due anni fa quando ho visto Sean Penn in This Must Be The Place di Sorrentino. Una performance perfetta che mi ha fatto venir voglia di tornare davanti alla macchina da presa.

Dopo Larry Flynt aveva avuto riconoscimenti della critica, una nomination al Golden Globe, il suo talento era riconosciuto, le porte sembravano aperte.. E poi? A parte un paio di film minori non si è più sentito parlare di lei, cosa è successo?

Se le dicessi i ruoli che ho rifiutato impallidirebbe! Ho detto no a film che hanno vinto Oscar e Golden Globe e altri che sono stati blockbuster. La verità è che mi sembrava di potermi permettere qualunque cosa, ero entrata d’improvviso fra i top di Hollywood ma in realtà non ero pronta. Non ero lucida né avevo qualcuno a fianco che mi consigliasse bene. Milos (Forman, ndr) me l’aveva detto che sarebbe stato così, ma io non gli avevo dato retta e alla fine sono crollata. All’epoca stavo con Edward Norton ma eravamo cresciuti in mondi diversi: lui era Edward Norton Harrison il quinto, laureato a Yale e io ero Courtney del riformatorio. Una relazione che forse ha contribuito al mio disadattamento. Chi mi diceva una cosa, chi un’altra: io semplicemente non sapevo ciò che volevo. Oggi a 50 anni lo so molto bene ed è molto,molto diverso….

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A proposito li ha appena compiuti…è un compleanno importante come si sente?

Bene! Sono meno giovane ma non mi faccio più droghe – a parte le sigarette. Il problema del fumo devo ancora risolverlo, ma ci sto lavorando (ride). Secondo me dopo i cinquanta si deve smettere, non si può più fumare, non sta bene, è il mio ultimo vizio, ho smesso perfino di bere caffè. Beh, forse non proprio l’ultimo…

Cosa le ha fatto comprendere che era arrivato il momento di … darsi una regolata?

Appunto, ho cinquant’anni e da più di venti anni sono in mezzo a casini legali e finanziari. A cominciare dagli anni ‘80, quando vivevo a San Francisco mi sono sempre fatta un sacco di droghe (ride) Non lo scriva, per carità che la cosa non si deve sapere! Ne va la mia reputazione… illibata (ride).

È molto cambiata la sua vita dopo essersi disintossicata?

Prima ero molto più arrabbiata, prigioniera del passato. Il buddismo mi ha aiutata a ritrovare me stessa, a mettere da parte l’odio che covavo per tutti quegli avvocati. Drogarmi è stata una mia scelta, ma la causa è stata il cinismo con cui è stato dilapidato il patrimonio di Kurt (Cobain, ndr). Non sono stupida però non sono istruita, non ho una laurea in legge o in economia, quindi ho assistito impotente a quello scempio e mi sono riempita di rabbia che ho espresso con la dipendenza da droghe. Oggi me ne sono liberata, in questa vita tutti perdiamo dei soldi e tutti probabilmente abbiamo fra le nostre conoscenze quel tizio pieno di rancore, amareggiato che si rode perché gli hanno rubato 40 mila o 100mila dollari. Io non voglio essere così, non ne vale la pena. Bisogna liberarsi dai propri rancori, per questo alla cerimonia del Rock ’n’ Roll Hall of Fame io e Dave Grohl (chitarrista dei Foo Fighters, ex-Nirvana, ndr) ci siamo abbracciati. È stato il momento in cui ci siamo lasciati alle spalle il male che ci aveva avvelenato per troppo tempo.

Lana del Rey recentemente ha dichiarato che morire giovani per una rock star non è poi così male. Sua figlia Frances ha polemizzato con lei in rete. Cosa ne pensa?

Lana mi sta molto simpatica e non credo volesse fare del male. Ha concesso un’intervista al Guardian dove in qualche modo idealizzava i musicisti morti a 27 anni. Poi ha dichiarato che non era quello che intendeva e di essere stata citata fuori contesto. Naturalmente per Frances, che ha perso suo padre proprio in quel modo, quell’affermazione è sembrata fuori luogo, terribilmente dolorosa e lo ha detto. Poi gli è anche dispiaciuto perché sa che io e Lana siamo amiche. Alla fine ci siamo chiarite. Ma al di là di tutto una cosa è vera: per l’industria se muori giovane sei immediatamente più prezioso ergo monetizzabile. Se io muoio domani, ad esempio, qualcuno fa una barca di soldi e quindi non è proprio il caso di romanticizzare. Il suicidio di Kurt è stato devastante per la nostra famiglia. Per vent’anni è stato un massacro continuo: gli avvocati, le droghe, le battaglie con i demoni interiori, i sensi di colpa…tutto.

E la musica oggi?
Stiamo pensando di riunire le Hole, forse nel 2015. Sto suonando con Eric, il chitarrista originale del gruppo con l’idea di esibirci in qualche festival. Ma non voglio semplicemente buttarmi nel circuito della nostalgia. Ho abbastanza soldi, non ho bisogno di suonare a tutti i costi, vorrei scrivere della musica che abbia un senso oggi. Ma io faccio rock e il rock oggi si è ristretto molto. È strano essere una delle ultime donne rimaste nell’ambiente. Spero in un cambio di rotta… del mercato (ride) ma i ‘90 sono decisamente passati, è come nel cinema dove si fanno ormai solo blockbuster oppure ultra-indie ed è molto più difficile fare film per adulti come una volta. Al momento mi sto occupando di capire che budget potrebbe avere il film su Kurt.

A proposito, a che punto è il film?

Ne stiamo parlando con Dave (Grohl) e Krist (Novoselic, il bassista dei Nirvana, ndr) e anche con Frances, su un punto siamo tutti d’accordo: deve essere un’opera collettiva. Ma sto spingendo molto perché sono convinta che sia arrivato il momento giusto di farlo. Quest’anno abbiamo cominciato con un documentario su Kurt diretto da Brett Morgen (Chicago 10, The Kid Stays in the Picture), un lavoro molto verité in cui veniamo intervistati io, Krist e la madre di Kurt. Rivela molte curiosità su di lui. Dopo ci metteremo al lavoro sul biopic, molta gente è interessata a produrlo. Le riprese dovrebbero iniziare l’anno prossimo, c’è già una sfilza di ragazzi di 25 anni che fanno la fila per interpretare la parte di Kurt e alcuni sono davvero talentuosi. Non invidio chi della produzione dovrà scegliere l’interprete giusto, ma sicuramente verrò interpellata.