La Camera degli sposi, il capolavoro mantovano di Andrea Mantegna, riapre eccezionalmente al pubblico dopo due anni di chiusura in seguito al terremoto del 2012. Fino al 5 ottobre sarà possibile visitare questa straordinaria sala affrescata nel torrione nord-est del castello di San Giorgio a Mantova, prima che venga nuovamente chiusa fino a metà dicembre per ultimare i lavori di restauro e di riorganizzazione del percorso museale. I visitatori prenotati per la Camera picta, come viene chiamata la Camera degli sposi nelle cronache antiche, sono già 1800 e non stupisce: l’opera, a cui Mantegna dedicò nove anni di lavoro, dal 1465 al 1474, è uno dei simboli del Rinascimento italiano.
Il terremoto, che colpì l’Emilia nel 2012, causò la riapertura di una crepa che corre verticale e poi obliqua in una della scene dell’affresco e lo stacco di una porzione di intonaco dipinto. L’intervento di restauro, realizzato in questi due anni dalla sovrintendenza ai beni architettonici di Brescia è stato finalizzato alla creazione di una struttura di sostegno interna ed esterna, che, avvolgendo la torre che ospita la Camera degli sposi, l’assicuri da futuri eventi sismici. Mantova si riappropria così di un bene artistico di eccezionale valore: la sua chiusura aveva pesato sul flusso turistico di Palazzo Ducale, del cui complesso museale fa parte il castello di San Giorgio, con una diminuzione del 20% delle visite. Nel tentativo di arginarne il calo, la sovrintendenza ha di contro dovuto aprire negli ultimi due anni inediti percorsi attraverso sale in precedenza precluse al pubblico.
Fu il marchese Ludovico Gonzaga a volere il pittore al suo servizio a Mantova. Nel 1460 Mantegna venne da Padova con tutta la famiglia e divenne il pittore ufficiale di corte, ruolo che avrebbe occupato fino alla morte.
Nonostante il nome che gli si attribuì successivamente, la Camera degli sposifu essenzialmente una sala delle udienze e una camera da letto di rappresentanza, una sorta di salotto dalla duplice funzione, dove il marchese trattava affari pubblici e si riuniva con la famiglia.
L’occasione della commissione non è del tutto chiara agli studiosi. Si è soliti riferire la produzione degli affreschi all’elezione al soglio cardinalizio del figlio di Ludovico, Francesco Gonzaga, nel 1462. La decorazione interessa tutte le pareti e le volte del soffitto e ha come tema centrale la celebrazione politica della dinastia Gonzaga. Mantegna si confrontò con i limiti di uno spazio cubico ristretto e lo risolse con un progetto unitario che ne ampliasse visivamente le dimensioni. Sfondando illusionisticamente le pareti, l’artista ottenne l’impressione di trovarsi in un padiglione dorato aperto sull’esterno e delimitato da cortine di broccato dipinte. Le pareti sono scandite ognuna da tre arcate, come ci trovassimo in un loggiato. Su due dei quattro lati Mantegna dipinse i drappeggi di un tendaggio dorato: un sipario che viene aperto sulle altre due pareti, svelando allo spettatore due momenti differenti della vita di corte. Una prima, detta della corte, è un ritratto collettivo della famiglia Gonzaga, si pensa in atto di apprendere la notizia dell’elezione a cardinale di Francesco.
La seconda scena è quella dell’incontro e raffigura Francesco in vesti cardinalizie al cospetto del padre Ludovico, insieme a una serie di figure secondarie facenti parte della dinastia mantovana e del suo entourage.
L’abile uso dell’illusione prospettica offre il suo saggio migliore nel soffitto ribassato della sala: Mantegna simula una volta profonda, che è in realtà solo leggermente incurvata. Al centro si apre il famoso oculo dove, sullo sfondo di un cielo azzurrissimo, si affacciano da una balaustra dame, putti e altri personaggi di difficile lettura.
Giulio Carlo Argan parlava, a proposito di Mantegna, di «classicismo archeologico». Il pittore si era formato d’altronde alla bottega dello Squarcione, esercitandosi nella riproduzione di opere d’arte antiche. Da questo studio iniziale, trasse probabilmente la sua straordinaria abilità nella resa monumentale delle figure. Più tardi, dalla conoscenza di Giovanni Bellini trasse invece il gusto per l’introspezione psicologica che, nella Camera degli sposi, ha uno dei suoi saggi d’eccellenza.
Purtroppo Mantegna realizzò a secco molte parti della Camera, una tecnica che rende difficile la conservazione. Già prima del 1800 abbiamo notizia vaga di primi restauri, ma solo nel 1987 un’opera capillare realizzata con le tecniche più moderne riportò la Camera picta all’antico splendore.