Le narrazioni che imperversano sulla scena pubblica attorno al soggetto imprevisto Covid-19 si vanno attestando prevalentemente su tre filoni: un primo che va da Agamben ai Wu Ming interamente poggiato sulla dialettica della «società contro lo Stato» accusato di essere liberticida; un filone che tende a valorizzare i lati generativi della cura, spinto soprattutto dal pensiero della differenza sessuale; un filone che dialoga direttamente con il Covid-19 considerandolo come un soggetto politico in grado di mostrarci tutte le contraddizioni del tempo nel quale vivevamo, viviamo e vivremo.

IN QUEST’ULTIMO FILONE è possibile rintracciare almeno due approcci. Uno è quello di Massimo Recalcati, il quale parlando direttamente con il virus dalle colonne di Repubblica auspica una nuova civiltà in grado di partire dai sintomi per ripensare la coesione sociale – senza mai porsi il problema del potere e del capitalismo che ci indicano chiaramente i nuovi rapporti di forza e le disuguaglianze sociali verso cui si sta traghettando il mondo intero, rischiando l’ennesimo naufragio con spettatore, oltre che una possibilissima nuova rabbia sociale persino peggiore di quella già scatenatasi all’indomani della crisi cominciata nel 2007 (altro che coesione!).

L’ALTRO è quello rinvenibile nel pamphlet, versione e-book, appena scritto da Marco Bracconi, per anni vivace interprete del mondo che cambia alla velocità della luce, attraverso le colonne dell’inserto culturale Robinson dello stesso quotidiano di cui sopra e ora sul Venerdì (La Mutazione, Bollati Boringhieri, pp. 84, euro 3.99). Fuori da ogni tentazione banalizzante, «liscia» – come direbbe Deleuze -, fuori da ogni stile retorico e lezioso solo perché rassicurante, anche Bracconi scrive direttamente al coronavirus, ma al solo fine di riportare nel dibattito pubblico quello spazio «striato», poco accomodante, perturbante, indispensabile per leggere passato, presente e futuro nelle loro linee di continuità e discontinuità.

COME IN UNA PIÈCE teatrale e con uno stile narrativo quasi brechtiano, Bracconi ci conduce in una geografia concettuale strutturata in tre tempi: Lockdown, Intermezzo, Fase 2 a partire dai rovesci, non sempre edificanti, della frase mantra «niente sarà più come prima», in cui ad aver vinto non è tanto quella «nostra civiltà giocattolo» utile per sentirci al sicuro, come accadeva nella società pre-pandemica, ma quel micidiale «patto virale» consumatosi sotto i nostri occhi e nei nostri perimetrati spazi domestici che ha determinato la vittoria incontrastata del digitale e del capitalismo delle piattaforme su tutto il resto, segnando un definitivo nuovo ciclo di vita basato sulla triade consumo/scarto/rete. L’onlife, non più solo l’online.

LE TESI DI FONDO della «mutazione» interpretata da Bracconi sono almeno tre: non si tratta più di pensare la società contro o con lo Stato, ma di ricollocare i rapporti di forza e di conflitto in un nuovo e inedito rapporto tra lo strapotere dematerializzante delle tecnologie e la spiritualità (bellissime le pagine in cui noi ci dematerializziamo attraverso i device diventando tanti pezzi che si compongono e scompongono come negli edifici di Amazon, mentre il Papa si materializza per le strade di Roma e in Piazza San Pietro generando un simbolico potentissimo).

Non si tratta più di contrapporre il progressismo al conservatorismo intendendo quest’ultimo solo come «pensiero reazionario» contro la religione dell’innovazione per l’innovazione del web, ma di ripensare le crisi come le giuste punizioni di fatui trionfi centrati sulla rimozione della Natura, sulla finitezza umana tanto quanto dell’ambiente, rimossi per decenni dalla politica tutta («Noi bruciamo le foreste, tu chiudi i negozi» – scrive Bracconi – o «La fede nel progresso assomiglia più a scientology che al compimento dell’Illuminismo»); non si tratta più di sollevare flebili critiche all’e-democracy che abbiamo già visto all’opera, generando un processo di de-culturazione politica di massa avallato dal narcisismo dell’io-crazia, ma di rimettere al centro i bisogni reali della rappresentanza incarnata, materiale, fisica.

IL MONDO – ci dice Bracconi – non è un «game», dunque se vogliamo davvero cambiarlo dopo questa «ospedalizzazione di massa» non sediamoci più sugli scranni dell’immateriale, altrimenti «alla parola futuro succederà quanto già accaduto alla parola democrazia» ovvero la perdita definitiva di una indispensabile «autosufficienza», fondamentale per ripristinare un contatto con la realtà e con la libertà. Diversamente il salto della specie lo lasceremo fare solo al virus e alla viralità, con le tragiche conseguenze che stiamo già vivendo.