Siamo alla fine del 1965. Barbara Rubin è una filmmaker amica di Jonas Mekas, autrice dell’esplosivo Christmas on Earth (1963). È lei che convince Warhol a passare al Café Bizarre, sulla West 3rd Street. Vorrebbe fare un film su una band che suona lì, e deve assolutamente sentirla. Si chiamano Velvet Underground. «I Velvet ci piacquero e li invitammo a venire alla Factory», ricorda Warhol in quella specie di diario sugli anni ’60 che è POPism: The Warhol ’60s (pubblicato in Italia da Meridiano Zero).
Warhol non dipinge più, gira solo film. Trova la cosa molto più eccitante. Nel gennaio del 1966 tiene un discorso alla cena annuale della Society for Clinical Psychiatry di New York.

Si presenta con i Velvet, Edie Sedgwick e Gerard Malanga. Barbara Rubin, con una piccola troupe, filma il pubblico aggredendolo verbalmente. Si cristallizza insomma la struttura che produrrà l’Andy Warhol Up Tight, fino a sfociare nell’Exploding Plastic Inevitable (immagini, suoni, fruste e siringhe, luci stroboscopiche, expanded cinema). Warhol filma il gruppo in almeno quattro film: The Velvet Uunderground, The Velvet Underground and Nico, The Velvet Underground Tarot Cards, The Velvet Underground in Boston. «Produce» il loro primo album, creando la copertina per i primi due dischi (banana sbucciabile e teschio invisibile). Il rapporto con Lou Reed sembra speciale. Lo filma in 12 Screen Test (tra questi, uno è dedicato al suo occhio, un altro alle sue labbra; e poi: Lou che mangia una mela, Lou che beve una Coke, Lou che mangia una barretta di cioccolata Hershey), tutti girati nel 1966. Per chi ama il gossip, ecco cosa ricorda Warhol: «Lou mi disse che lui e John passavano dei periodi in cui mangiavano solo fiocchi d’avena e per procurarsi i soldi donavano il sangue o posavano per i settimanali che avevano bisogno di foto per illustrare i loro pezzi sensazionalistici. La didascalia di una delle foto di Lou diceva che era un maniaco sessuale che aveva ucciso quattordici bambini e aveva registrato le loro urla per poterle ascoltare mentre si masturbava a mezzanotte in un’autorimessa del Kansas».

Per avere un’idea di cosa pensassero i due di Warhol, basta invece ascoltarsi di filata tutto Songs for Drella, l’omaggio inciso in suo ricordo, nel 1987. Quel disco è la testimonianza di un rapporto profondo, doloroso. È il libro dei ricordi di quello stesso periodo, ma visto attraverso la prospettiva rovesciata dei due musicisti. In una canzone intitolata Work, Lou Reed canta: «Non importa cosa facessi, non sembrava mai abbastanza / diceva fossi pigro, io rispondevo che ero giovane / lui diceva «quante canzoni hai scritto?» / non ne avevo scritta neppure una, ma mentivo e gli dicevo «dieci» / «non sarai giovane per sempre / avresti dovuto scriverne quindici / è lavoro» / devi fare le cose in grande / alla gente piace così / e le canzoni con parole sporche / ricordati di inciderle così».

Drella è il soprannome che qualcuno aveva appiccicato a Warhol: incrocia Dracula e Cinderella. In fondo, Lou Reed ha seguito alla lettera i suoi consigli.