Sono i prigionieri nelle mani di Israele e Hamas che impedirebbero, per ora, un ‎accordo per la creazione a Cipro di un porto marittino per Gaza come proposto dal ‎ministro della difesa e falco della politica israeliana Avigdor Lieberman. Almeno ‎questo è ciò che pensano nella Striscia di Gaza. ‎«Hamas non accetterà l’idea se ‎Israele non rilascerà dozzine di suoi membri detenuti, allo stesso tempo non se ne ‎farà nulla se il movimento islamico non libererà due cittadini israeliani e consegnerà ‎i resti di due soldati (morti durante l’offensiva Margine Protettivo nel 2014, ndr)», ‎ci diceva ieri un giornalista di Gaza. Eppure, sebbene i dirigenti di Hamas, appena ‎due giorni fa, abbiamo detto di non aver ricevuto alcuna proposta e continuino a ‎richiedere la scarcerazione di 50 membri del movimento liberati da Israele nel 2011 ‎‎(nello scambio di prigionieri del 2011 per il soldato Ghilad Shalit) e imprigionati di ‎nuovo nel 2014, la creazione di una via marittina per Gaza è un piatto troppo ‎ghiotto per rinunciarvi senza cercare di intavolare un negoziato attraverso una terza ‎parte.

‎ D’altronde nelle intenzioni di Hamas le manifestazioni della Grande Marcia del ‎Ritorno, che continuano lungo le linee con Israele, e la recente ripresa di lanci ‎sporadici di razzi (seguita da raid aerei israeliani) hanno lo scopo di evidenziare ‎l’insostenibilità del blocco di Gaza da parte di Israele. ‎«Per Hamas quel porto, anche ‎se a Cipro e non a Gaza come vorrebbero logica e diritto, significherebbe un ‎risultato importante nel momento in cui più parti, a cominciare dall’Autorità ‎nazionale palestinese (del presidente Abu Mazen) vorrebbero isolarlo. Ma Hamas ‎non può rinunciare alla liberazione dei detenuti politici, è un tema centrale per tutta ‎la popolazione palestinese e ne va della sua immagine», ci diceva ancora il ‎giornalista di Gaza.

‎ Nella pentola perciò qualcosa continua a bollire.‎‏ ‏Secondo i media locali Israele ha ‎inviato messaggi tramite intermediari internazionali facendo sapere di essere pronto ‎chiudere l’accordo per la costruzione di un bacino galleggiante lungo le coste di ‎Cipro se Hamas consegnerà i corpi dei due soldati caduti nel 2014 e i due cittadini ‎israeliani (un ebreo etiope e un beduino, Avera Mengistu e Hisham al-Sayed) tenuti ‎prigionieri a Gaza. Lieberman ha parlato del suo progetto nei giorni scorsi con il ‎presidente cipriota, di cui non si conosce la risposta. Al momento si sa solo che ‎Cipro sta esaminando la richiesta, che entro due settimane verranno creati “gruppi di ‎lavoro” e che alla fine dell’estate sarà presentato un piano definitivo. Di fatto sarà un ‎porto israeliano davanti a Cipro, gestito e presidiato da uomini dei servizi di ‎sicurezza dello Stato ebraico che avranno il compito di monitorare e controllare ‎tutto ciò che navigherà verso Gaza. Nei prossimi giorni Hamas incontrerà al Cairo ‎funzionari dell’intelligence egiziana per discutere anche di altre proposte per ‎migliorare le condizioni di vita della popolazione come l’apertura una zona ‎commerciale tra Gaza e l’Egitto e del valico di Rafah e l’uso palestinese ‎dell’aeroporto di El Arish nel nord del Sinai‏.‏

‎ A Ramallah Abu Mazen e il premier dell’Anp Hamdallah sono furiosi. La ‎proposta israeliana silura l’isolamento di Hamas che il presidente sta attuando da ‎circa un anno – a pagarne i costi però è solo la popolazione civile – e allo stesso ‎tempo sembra inserirsi nel quadro del piano di Donald Trump (“Accordo del ‎secolo”) volto a mettere fine alla questione palestinese sulla base delle condizioni di ‎Israele e con l’appoggio di alcuni regimi arabi desiderosi di normalizzare i rapporti ‎con lo Stato ebraico. I colloqui tra Lieberman e i dirigenti ciprioti sono avvenuti ‎mentre era in corso in Medio oriente la missione dell’inviato speciale e genero di ‎Trump, Jared Kushner. Quest’ultimo ha confermato i timori di Abu Mazen quando, ‎attraverso il giornale al Quds, si è rivolto alla popolazione palestinese lanciando ‎accuse pesanti ad Abu Mazen a suo dire ‎«non in grado e non desideroso‎» di ‎raggiungere‎ un accordo con Israele. ‎«In apparenza il porto di Gaza e il piano di ‎Trump sono non collegati, ma sotto molti aspetti lo sono» ci dice l’analista Saud ‎Abu Ramadan ‎«Israele e gli Usa dicono di voler migliorare le condizioni di vita di ‎Gaza ma per i palestinesi il porto a Cipro e il piano di aiuti americani (si dice per 1 ‎miliardo di dollari, ndr) sono volti a fare della Striscia una entità separata dalla ‎Cisgiordania senza comunque modificarne lo status attuale di grande prigione sotto ‎il controllo israeliano». ‎