La nostra è una forma di governo parlamentare, imperniata sulla responsabilità del Governo davanti al Parlamento, unico organo eletto direttamente dal popolo. Tanto più dopo il referendum di domenica – una pagina storica di difesa delle istituzioni antifasciste – occorrerebbe rispettare queste prescrizioni, che hanno molto da dire nella situazione presente.

Personalmente sconfitto dal voto referendario, il Presidente del Consiglio ne ha tratto di potersi dimettere, ma non è così: il suo governo ha la fiducia delle Camere, occorre un voto in Parlamento che verifichi se è venuta meno. Alcuni hanno detto: andiamo ad elezioni, siccome il Governo è stato battuto dal popolo: ma non è così.

Spetta semmai alle forze politiche di opposizione battere il Governo, o provarci, presentando una mozione di sfiducia.

Sono dati elementari di chiarezza, di assunzione di responsabilità e di correttezza. Il popolo ha respinto una legge di revisione costituzionale, non ha votato sul Governo. Non ha il potere di farlo, e, corrispondentemente, non ha i poteri di indirizzare e controllare l’Esecutivo, e di chiedergli ragioni: sono i poteri e i doveri delle Camere.

Il voto referendario, checché piaccia dire, non si intesta a questo o a quel partito, mentre il rapporto fiduciario, da cui dipende il Governo, passa dai partiti.

E’ loro dovere esercitare le prerogative che ne derivano, perché è nostro diritto sapere chi, tra i partiti, sostiene il Governo, chi lo vuol far cadere, chi è disposto a dar vita a un nuovo Governo, chi non.

Il Governo non si dimette in conseguenza di un voto popolare, ma di una crisi politica, che va dibattuta in Parlamento onde ne siano visibili e trasparenti le ragioni. Ci serve a giudicare l’operato di coloro che eleggiamo.

Questo è il senso del rapporto fiduciario: le dimissioni del Governo, di per sé, non soddisfano le condizioni di pubblicità, trasparenza e lealtà, che, in nome del rapporto di fiducia, dovrebbero caratterizzare una crisi di governo.

La maggioranza del popolo italiano ha votato domenica sera per confermare la Costituzione.

E’ una grande occasione per riflettere sui valori profondi che essa incorpora: il rapporto fiduciario che lega il Governo alle Camere fa del Parlamento il motore della legittimazione democratica del nostro ordinamento, è un elemento di stabilità, un fattore di chiarezza, un impegno reciproco di responsabilità tra il Governo, il Parlamento, le forze politiche, i cittadini.

Scambiare il voto referendario con un voto sulla sorte del Governo nasconde responsabilità, ingenera confusione. Ed esprime una logica ferale: la colpa dell’instabilità (la crisi di governo), è del popolo che ha esercitato le sue libertà costituzionali.

Nel tornante che si è aperto dopo il referendum, il senso del parlamentarismo in Italia potrebbe spegnersi definitivamente.

L’ideologia per cui la sovranità popolare è un ostacolo alla governabilità, e cioè che la democrazia è da buttare, finirebbe per trionfare.

Spero fortissimamente che il Presidente Mattarella rimandi Renzi in Parlamento.

Affrontare un crisi con una leale e aperta discussione è sempre una grande risorsa. Ce la offre la Costituzione repubblicana.