A che punto è il risanamento ambientale dell’Ilva di Taranto, il più grande siderurgico d’Europa? In tanti se lo chiedono, in pochi lo sanno.

Tutto è contenuto nell’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) concessa dal ministero dell’Ambiente nell’agosto 2011, riesaminata nell’ottobre 2012 dopo lo tsunami dell’inchiesta sul presunto disastro ambientale e il sequestro degli impianti del luglio precedente, e infine rivista nei tempi di attuazione con l’approvazione da parte del governo del Piano Ambientale del marzo 2014.

Sinora, a partire dal giugno 2013, da parte della struttura commissariale è stato possibile fare molto poco. Delle 97 prescrizioni molte sono in fase di attuazione, altre ancora da cantierizzare, le restanti sono rimaste soltanto sulla carta con i progetti approvati o in fase di approvazione. A parte, poi, ci sono il piano di gestione delle acque e dei rifiuti. Ecco perché il miliardo sequestrato ai Riva e messo a disposizione dei commissari per l’attuazione delle prescrizioni – perché questo sarà il loro compito sino alla conclusione prevista nel 2023 – è fondamentale. A prescindere dai progetti presentati dalle due cordate.

Del resto, è bastato diminuire la produzione a partire dal settembre 2012, spegnere le cokerie più inquinanti, gestire con maggiore oculatezza i parchi minerali, rispettare le prime prescrizioni in tema di gestione degli impianti più pericolosi per l’ambiente e la salute di operai e cittadini per non sforare più i limiti previsti dalla legge sul Pm10 e il cancerogeno benzo(a)pirene come invece accaduto sistematicamente sino a luglio 2012.

È chiaro però che tutto questo non basta. I lavori più importanti, che devono ancora essere svolti, vedranno la copertura dei parchi minerali (il cui progetto è stato approvato ma prima si dovrà provvedere alla bonifica di e terreni), il rifacimento delle cokerie, i lavori all’altoforno 5, il più grande d’Europa che da solo provvede al 45% della produzione del siderurgico. Così come i lavori per le acciaierie da dove ancora fuoriescono i famosi «slopping», nubi rossastre che si disperdono nell’aria in pochi secondi, o nel reparto agglomerato, da dove per anni è uscita gran parte della diossina che ha avvelenato i terreni.

Ora, dopo il decreto con il quale il MiSE assegnerà la cessione dell’Ilva, la cordata aggiudicataria dovrà presentare la domanda perché venga rilasciata una nuova Aia entro 30 giorni. Pubblicata la domanda, ci sarà spazio per le osservazioni di cittadini, associazioni e di chiunque si senta coinvolto dalla presenza dello stabilimento.

Raccolte le osservazioni, i tre esperti nominati dal ministero completeranno l’istruttoria e invieranno le carte al ministero dell’Ambiente, il quale completerà la procedura e, insieme al MiSe, trasferiranno tutto al Consiglio dei ministri per l’emanazione del Dpcm finale. Tempo previsto: entro dicembre.