La peculiarità di Chamois, comune sparso di 99 abitanti della Valtournenche in Val d’Aosta, salta subito agli occhi. Ci si arriva solo in funivia, dunque automobili, motorini, bus, torpedoni, non ne disturbano mai la quiete montana. È l’unico comune italiano senza traffico veicolare e gli unici sommovimenti sonori generalmente glieli regalano i tuoni che annunciano temporali e scrosci cui questa zona non si sottrae neppure nella stagione estiva. In estate, da otto anni, questo paesello piazzato a 1815 metri d’altezza e incastonato fra il Cervino e il Gran Paradiso, accoglie in realtà anche altri suoni, quelli del festival Chamoisic. Il direttore artistico Giorgio Li Calzi ne ha plasmato un’identità fertile e ibrida, attenta ad esplorare soprattutto i territori di musiche che stanno al crocevia tra gli stili (tra il jazz e la classica, tra la World e l’ambient, tra l’elettronica e il rock…), cosicché il sottotitolo che ha scelto per questo piccola indomita rassegna pare davvero appropriato: «Altra musica in alta quota». L’edizione 2017 ha celebrato anche una sorta di esondazione in altri 5 comuni della Vallée con concerti gratuiti, passeggiate sonore, masterclass di canto e strumento, che hanno fatto da prologo al ricco weekend di concerti fissati a Chamois.

Tra questi il primo è diventato solo il simulacro di un concerto, perché il duo Sidsel Endresen e Stian Westerhus si è fermato all’aeroporto di Torino dopo aver scoperto di avere il bagaglio con i propri strumenti disperso tra l’hub di Francoforte e il nulla. Mancare quello che doveva essere il primo dei quattro concerti in esclusiva per l’Italia del programma di quest’anno, poteva essere un brutto colpo per il festival. Ci hanno pensato i tre musicisti valdostani che dovevano comunque aprire la scaletta prima del set del duo norvegese a rendere credibile e fertile  questa tormentata prima giornata. La clarinettista Selene Framarin ed i chitarristi Gilbert Impérial e Maurizio Brunod si sono avvicendati sul palco alternando pezzi originali e cover latine (Brunod), pagine delle Sequenze di Luciano Berio, una rielaborazione in duo del seicentesco Stefano Landi (ancora Framarin ed Impérial) oltre a una mirabile interpretazione di Trash TV Trance for Electric Guitar del compositore goriziano Fausto Romitelli risolta mirabilmente dal manovrio alla sei corde di Gilbert Impérial. La sera ci si è spostati all’Hostel Bellevue dove il trio formato dal violinista Ian MacFarlane, la violoncellista Christine Hanson e il chitarrista e cantante Ewan Robertson hanno illustrato la loro personale visione del patrimonio delle highlands scozzesi in uno scenario intimo che non aveva nulla da invidiare a un pub di Inverness.

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Di ben diverso tenore l’atmosfera innescata il giorno dopo dal trio Pugile. Il combo torinese formato da Elia Pellegrino (elettronica), Leo Leonardi (basso e voce) e Matteo Guerra (batteria) si è speso in un pannello sonoro che oscillava tra post-rock, funk e psichedelia e ha risolto brillantemente la matassa grazie allo splendido timbro vocale di Leonardi e alle abilissime tessiture elettroniche gestite da Pellegrino. Quello che ci si aspetta invece dalle esibizioni in solo di Markus Popp in arte Oval è oramai cosa nota: un turbine frenetico di cut up ritmici, un’indiavolata insurrezione di frammenti, rumori e imperfezioni domata da questo guru tedesco delle macchine che in passato ha sedotto anche Bjork e i Tortoise. È esattamente questo il bottino che Oval ha portato anche a Chamois pur penalizzato dalla ricollocazione del suo set (causa temporale in arrivo) in un piccola sala dell’Hotel Maison Cly. Resta peraltro la sensazione che lasciano questi virtuosi della laptop music quando scelgono di non accendere la miccia della danza e allo stesso tempo di non accompagnarsi con qualche musicista analogico o qualche vj: una povertà scenica imbarazzante e un’ombra lunga di solipsismo un poco autistico. L’incontro del giorno dopo che annunciava il concerto pomeridiano (altra esclusiva italiana) del pianista norvegese Jon Balke prometteva un concerto che partiva da presupposti sostanzialmente diversi rispetto a quelli di Oval e non solo per le sonorità che in questo caso erano rigorosamente acustiche, ma anche per il profilo multietnico dell’organico e la predisposizione agglomerativa certificata dalla storia del leader.

Balke nel rendez-vous mattutino in cui si presentava il doc a lui dedicato – Magnetik Musiker – aveva parlato di «musica che richiede la stessa flessibilità che viene richiesta a degli amici che dialogano». Il riferimento era sia ai progetti della sua celeberrima Magnetic North Orchestra sia alla ricerca dell’ensemble Siwan, di scena a Chamois. Dichiarazione d’intenti messa in atto immediatamente dopo, sul palco, con un repertorio ispirato in questo caso al patrimonio barocco e alla musica arabo-andalusa. Lo zenith di quest’approccio è stato toccato nel finale con brani come Sin nada querer e Jadwa, ma tutto il concerto ha rivelato una predisposizione che è davvero in grado di proiettare la musicalità alchemica dei progetti di Jon Balke in quel territorio che «sembra profondamente radicato in un posto, anche se quel posto non esiste».