Treviso, 5 maggio 2018. Prima arriva il suono del vento ad accompagnare lo sguardo nella gamma di colori intensi: l’azzurro dell’oceano Atlantico, il verde dell’erba, il grigio delle nuvole gonfie di pioggia, il bianco e nero delle pecore Suffolk. Quanto alle parole, affidarle ad un poeta ne garantisce una sintesi efficace come una carezza: «Quando levò via lo strato della torba / i secoli mollemente accatastati / si ripartirono come un ciuffo di capelli». Nel 1974 Séamus Heaney (Premio Nobel per la letteratura nel 1995), dopo aver visitato il sito di Belderrig e incontrato il maestro Patrick Caulfield gli dedicò la poesia da cui provengono quei versi. Nei pressi del villaggio di Ballycastle, nella contea di Mayo (Irlanda nordoccidentale) si estende un paesaggio rurale preistorico in cui geologia, archeologia e botanica danno il via ai primi passi della civiltà. Proprio per queste sue peculiarità il sito di Céide Fields («campi della collina dalla cima piatta» in gaelico irlandese), membro dell’Opw – Office of Public Works, è stato selezionato dal comitato scientifico della Fondazione Benetton Studi Ricerche di Treviso (presieduta da Luciano Benetton e diretta da Marco Tamaro) per l’assegnazione del XXIX Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino che, istituito nel 1990, è l’unico dedicato al paesaggio ad essere assegnato a un luogo e non a una persona. Quando Patrick Caulfield, maestro elementare con la passione per l’archeologia, scavando il terreno per prendere la torba (tutt’oggi usata come combustibile) s’imbatté nella presenza di quelle che non erano semplici pietre, correva l’anno 1934. L’intuizione e l’entusiasmo per questa scoperta significativa anche in termini identitari – si tratta di una delle più antiche testimonianze europee del Neolitico in cui è documentata attività di coltivazione e allevamento – fu contagiosa. Suo figlio Seamas, archeologo e professore emerito dello University College Dublin, proseguì il lavoro di scavo coinvolgendo i suoi studenti, tra cui Gretta Byrne che oggi è direttrice del Céide Fields Visitor Centre. Un passaggio del testimone che, come afferma Patrizia Boschiero – coordinatrice insieme a Luigi Latini delle attività del Premio Carlo Scarpa – «rappresenta un segno tangibile di dedizione e cura responsabile del luogo».

Boschiero ha partecipato alle due spedizioni in Irlanda (agosto 2017 e gennaio 2018), che hanno coinvolto anche i registi Davide Gambino e Gabriele Gismondi con il fotografo Andrea Rizza Goldstein, i cui lavori fanno parte della mostra documentaria I Céide Fields nei paesaggi irlandesi. Un luogo di storia millenaria lungo un viaggio di ricerca (il volume è coedito da Antiga) a Palazzo Bomben di Treviso (fino al 3 giugno), che intreccia fonti cartografiche, letterarie (da Joyce a Constance Markievicz) e cinematografiche (tra cui L’uomo di Aran di Robert Flaherty), contestualizzando la dimensione di Céide Fields in un ambito più vasto. Nell’area risalente a 5.500 anni fa, sotto uno strato di torba che arriva a 4 metri, s’insediò una comunità che sostituì a un’immensa foresta un sistema di campi recintati di forma quadrata e rettangolare, distribuiti in modo ordinato e circondati da muretti bassi in pietra a secco. La principale fonte di sostentamento, secondo gli studi più recenti, era basata sull’allevamento da latte. «I campi servivano per la gestione del bestiame, con i muri in pietra a secco a separare le mucche da latte dagli animali svezzati, e favorendo il contatto delle vacche da latte con gli allevatori almeno una volta al giorno – scrive Seamas Caulfield – Il transito quotidiano degli animali dai campi senza risorse idriche ai corsi d’acqua rientra con molta più probabilità tra le abitudini degli allevatori di animali da latte, che richiedevano un contatto giornaliero e diretto con le vacche da mungere».

A portare il sito al declino fu l’abbassamento delle temperature: lentamente si svilupparono strati di torba. Percorrendo le passerelle di legno del Céide Fields Visitor Centre si possono vedere le antiche tracce in armonia con la natura, C’è anche un maestoso pino fossile di 4 mila anni conservato nel centro didattico. Tutt’intorno si scava ancora con sonde metalliche forse meno sofisticate di quelli moderni, ma certamente più funzionali. Le antiche pietre rimarranno, però, sotto gli strati di quella terra che li ha protetti nel tempo, cullate da un sonno atavico.