Le strade sono pulite. A tratti, sono un po’ sconnesse e poco illuminate, o ancora dominate dalla speculazione edilizia. Ma sono pulite. I ricordi corrono allora a quattro anni fa quando, qui a Casal di Principe, soprattutto le sere d’estate cenando fuori seduti nei cortili, era facile sentire quell’odore acre provenire dai cumuli di immondizia dati alle fiamme. Nell’autunno del 2013 iniziava la stagione delle grandi proteste popolari che affrontavano con maggiore forza le questioni latenti relative all’ambiente. Nello stesso anno, venivano desecretati i verbali delle deposizioni del pentito Carmine Schiavone sui traffici di scarti tossici e veniva approvata la legge regionale per la lotta ai roghi e all’abbandono dei rifiuti.

Al nostro arrivo, veniamo accolti da Peppe Pagano, il vicepresidente del consorzio di economia sociale Nuova Cooperazione Organizzata, nome che riprende l’acronimo NCO dalla Nuova Camorra Organizzata del boss Raffaele Cutolo. Peppe ci spiega che in pochi anni la raccolta differenziata «è aumentata dal 14 al 70%». Ma la lotta del popolo casalese contro i soprusi mafiosi nasce lontano e passa per il 1994, quando la camorra uccise don Peppe Diana, mentre si preparava a celebrare la messa. «Quel delitto – aggiunge – ha rappresentato uno spartiacque perché da quel momento sono aumentati gli arresti. Anche se, ora che la situazione appare più tranquilla, il rischio è proprio un calo dell’attenzione verso certi fenomeni».

INIZIA DA QUI IL VIAGGIO alla ricerca dell’altro capo del filo di «Un Pacco alla camorra» 2017, il progetto culturale che da nove anni, nelle settimane che precedono Natale, nasce in questi luoghi e viene promosso e venduto in diverse parti d’Italia e all’estero, attraverso cene e presentazioni. Si tratta di una scatola di cartone riciclato in cui vengono inseriti i prodotti tipici, rigorosamente biologici e attenti alla tradizione, simboli della rinascita e del riscatto di questi territori. Il tutto grazie al lavoro dalla Nco, del Comitato le Terre di Don Peppe Diana e di Libera, realtà che si occupano del riutilizzo a fini sociali dei beni confiscati.

«Il pacco piccolo riproduce un pasto di qualità: un sugo pronto, un pacco di pasta biologica e una bottiglia di vino – ci spiega Umberto De Santis dell’agenzia di comunicazione Etiket, che cura l’iniziativa – Il pacco grande contiene un numero maggiore di prodotti e gli utili verranno destinati alle attività formative del Comitato don Peppe Diana. Le presentazioni saranno accompagnate da un video in cui alcuni ragazzi coinvolti nelle attività delle cooperative raccontano, attraverso il proprio percorso di vita, il senso dell’agricoltura sociale».

Così, soffermandosi per qualche giorno da queste parti, dove l’economia agroalimentare si fonde con l’etica, si scopre che ogni prodotto non è solo buono e sano ma porta con sé una storia. Il nostro racconto prosegue da Casal di Principe verso San Cipriano d’Aversa in via Ruffini, in una casa un tempo appartenuta a un camorrista, per incontrare gli ospiti del «gruppo di convivenza» rivolto a persone con disagio psichico. Si cena e si chiacchiera tutti assieme. Marianna è preoccupata per il lavoro. Antonio deve lavare i piatti. Armando ci guarda in silenzio e sorride. Fabio, invece, ci racconta che sarà uno dei protagonisti di un’accoglienza più ampia, quella che lo vedrà impegnato nella gestione dell’ostello che a breve sarà inaugurato in un altro ex edificio camorrista.

IL MATTINO SEGUENTE CI SPOSTIAMO verso nord, inoltrandoci nelle campagne in direzione Maiano di Sessa Aurunca, dove la cooperativa Al di là dei sogni gestisce 27 ettari di terreno grazie a 28 dipendenti. Riconosciamo il sorriso del presidente Simmaco Perillo che ci viene incontro attraversando il piazzale, al centro dell’area confiscata. «Vedete qualcosa di nuovo?» chiede. Ci guardiamo attorno e la risposta è facile: qui troviamo sempre qualcosa di nuovo, ogni anno. Notiamo un bel gazebo di legno, dove ritrovarsi terminato il lavoro. Ma, poco dopo, conosciamo anche le nuove prospettive di sviluppo. A Maiano, molti dei prodotti della filiera agroalimentare vengono coltivati ed elaborati seguendo le ricette della tradizione locale, secondo gli standard di massima sicurezza alimentare. Infatti, nel laboratorio di trasformazione, in costante innovazione, non possiamo entrare vestiti così come siamo, per ragioni di igiene. Guardiamo oltre le finestre. Gli operatori alimentari sembrano astronauti. Indossano tute bianche e stivali mentre trafficano con una montagna di friarielli. Tra di loro, ci racconta Simmaco, c’è un ghanese che da poco ha riabbracciato suo figlio, rimasto ad attenderlo in Africa per 17 anni. Dal laboratorio camminiamo verso un capannone, dove in queste settimane si lavora sodo per comporre manualmente il Pacco alla camorra. Come accade tutte le mattine, una decina di ragazzi provenienti dalle case di accoglienza attende di iniziare l’attività. Ci chiama al rapporto Gaetano, socio di Al di là dei sogni. «Forza andiamo!», dice con entusiasmo. Ci aggreghiamo al gruppo che lo segue. Simmaco spiega che ognuno di loro si occuperà di riempire una parte del Pacco con un prodotto: la crema di zucca, la confettura di ciliegia, la passata di pomodoro, la bustina di semi per gli ortaggi. Nel frattempo Gaetano ci racconta la sua storia. Da mafioso a ecotestimonial. Dalle guerre di mafia nel quartiere napoletano di Scampia, passando per il carcere, fino alla sua assunzione qui come magazziniere. Droga, sparatorie, tentativi falliti di uscire da un circolo vizioso e poi finalmente la svolta. «Mi aspettavo di essere abbandonato dalla mia famiglia. Invece, quando sono uscito dal carcere ho ritrovato tutti lì fuori, ad aspettarmi, pronti a sostenermi nel nuovo percorso. Ora nella mia nuova casa, dove vivo con mia moglie e i miei figli, voglio appendere un quadro con il mio contratto di lavoro. Il mio primo contratto di lavoro, vero e originale!».

IL PACCO ALLA CAMORRA non contiene solo generi alimentari. «Nella nostra rete ci sono anche imprese profit impegnate nella salvaguardia dell’ambiente – ci spiega Simmaco – come la Cleprin Srl. Franco e Tonino fanno detergenza industriale. Sono due imprenditori che nel 2007 hanno denunciato il racket. Alcuni ragazzi svantaggiati lavorano con loro e nel Pacco si trovano anche le ecodosi di detersivo che producono nell’azienda».

LA NOSTRA VISITA TERMINA alla cantina Vitematta, dove nasce un asprinio che è stato inserito nell’Annuario dei migliori Vini 2018. Incontriamo Vincenzo Letizia, uno dei responsabili. «Abbiamo fatto un salto di qualità- ci racconta- realizzando un asprinio con un passaggio in rovere. Un metodo classico, unico in tutta la provincia di Caserta perché manteniamo la filiera all’interno dell’azienda». Anche qui troviamo una storia, quella di Peppino. Partecipa instancabilmente all’attività produttiva della cantina e condivide l’appartamento adiacente assieme ad altre persone in difficoltà. «I miei genitori sono morti. Sono qui da quattro anni, altrimenti sarei per strada» ci dice, alla fine della giornata.