Riprendono le proteste in Venezuela. Nel fine settimana, gruppi di opposizione (pochi, secondo le immagini diffuse dalla stampa) hanno manifestato a Caracas, nel quartiere residenziale di Bello Monte, a Barquisimeto (nello stato Lara) e a San Cristobal, nel Tachira, alla frontiera con la Colombia. Secondo le Ong di opposizione, 20 persone sarebbero in stato di fermo nella capitale e 21 a Barquisimeto.

“Nei prossimi giorni, gruppi di oppositori, approfittando della riapertura delle scuole, lunedì, cercano di riattivare le guarimbas”, aveva avvertito giovedì scorso il presidente dell’Assemblea, Diosdado Cabello, durante la sua trasmissione televisiva settimanale. Le guarimbas: ovvero le barricate e i blocchi stradali, iniziate proprio nel Tachira e proseguite in tutto il paese per oltre due mesi. “I gruppi fascisti ora cercano di organizzare azioni per la secessione”, ha detto ancora Cabello. Il 12 febbraio, gli scontri davanti al Ministerio Publico hanno provocato tre morti, che diventeranno 43 col trascorrere dei giorni (e oltre 800 i feriti). Le proteste, organizzate dai gruppi oltranzisti nei quartieri benestanti della capitale e del paese, hanno risposto a una campagna lanciata da alcuni leader di estrema destra, decisi a far cadere con la forza il governo di Nicolas Maduro.

Anche oggi, gli obiettivi delle proteste indicano il campo che le guida: nel Tachira i manifestanti rifiutano la chiusura notturna della frontiera con la Colombia, prolungata per altri tre mesi. Una misura per fermare il contrabbando di alimenti e di combustibile, razziato nei negozi a prezzo calmierato e rivenduto con ricavi stratosferici oltrefrontiera o al mercato nero venezuelano. Un salasso che provoca la cronica carenza di prodotti nei supermercati. E dà fuoco alle trombe della destra sull’inefficienza del “socialismo bolivariano”, un’economia mista controllata dallo stato in cui si è deciso di destinare buona parte dei proventi del petrolio per garantire il benessere anche alle classi popolari.

Per capire l’entità del danno, valgono le cifre: dall’11 agosto a oggi, sono state sequestrate 1.168,29 tonnellate di alimenti, 460.930 litri di combustibile, 434,17 tonnellate di materiale strategico e 205.519,28 litri di lubrificanti industriali. A Caracas, gli oppositori protestano anche contro la tessera e i controlli biometrici istituiti dal governo per ridurre il fenomeno dell’accaparramento di prodotti destinati poi al mercato nero.

I manifestanti chiedono anche la libertà del leader di Voluntad Popular, Leopoldo Lopez, un uomo politico dai trascorsi golpisti, in prima fila nei fatti violenti provocati dalle guarimbas. Il suo processo è stato nuovamente rinviato al 22 settembre. Dal Cile alla Colombia, i deputati di estrema destra hanno chiesto ai rispettivi parlamenti la sua liberazione. E gli Stati uniti sono tornati ad accusare Maduro per le detenzioni “illegittime”. Il governo venezuelano ha risposto rispedendo al mittente “le ingerenze inaccettabili di un comunicato pieno di menzogne”. Intanto, sono andati in carcere Lorient Saleh e Gabriel Valles, due noti leader di un gruppo nazista, Javu, nonché dirigenti della Ong Operacion Libertad (Ol). Javu, finanziata dall’ex candidato presidenziale Henrique Salas Romer, insieme a Ol e al Movimiento 13 ha diretto la parte più violenta delle proteste di febbraio e compare in tutte le inchieste contro l’eversione di estrema destra in Venezuela.

Fino a venerdì i due nazisti si trovavano in Colombia, da cui sono stati espulsi per violazione alla legge sull’immigrazione. Eppure Valles era iscritto alla Scuola superiore di guerra di Bogotà. Saleh era stato fermato in Colombia anche durante le elezioni presidenziali, mentre cercava di provocare scontri durante il comizio dell’attuale senatore di Alianza Verde, Antonio Navarro Wolf, ex guerrigliero dell’M19. Un “viaggio di studio” con tanto di armi e divise in dotazione all’esercito colombiano, come dimostrano le foto pubblicate dal giornale colombiano El Tiempo.

Intanto, continua la polemica tra Maduro e Ricardo Hausmann, ministro della Pianificazione negli anni ’90, ora a Miami. Un suo articolo che preannunciava il default del Venezuela, ha provocato un piccolo terremoto finanziario ai danni di Caracas. “Pagheremo il debito estero fino all’ultimo centesimo”, ha ribattuto Maduro denunciando un altro capitolo della guerra economica contro il suo governo.

“Dobbiamo sviluppare le forze produttive”, ha dichiarato il presidente dopo l’ultimo rimpasto ministeriale, destinando 76,19 milioni di dollari alle imprese “che decidano di aggregarsi alla nuova offensiva economica”. E ieri, dopo aver annunciato nuove misure in favore del primo impiego, ha detto che il 50% dei deputati in parlamento dovrebbe essere formato da giovani al di sotto dei trent’anni. Intanto, un secondo carico con 50 tonnellate di aiuti umanitari è partito per l’Egitto, diretto a Gaza.