È stata prolungata di altre 24 ore la sospensione delle lezioni e delle attività lavorative in Venezuela, malgrado la luce sia tornata stabilmente in tutto il paese. E mentre prosegue il lavoro per regolarizzare il servizio elettrico, il governo bolivariano ha annunciato la cattura di due persone sorprese proprio nel momento in cui cercavano di realizzare un nuovo sabotaggio alla centrale idroelettrica di Guri.

GLI INIMMAGINABILI DISAGI vissuti dal paese da giovedì scorso, quando è iniziato il black-out, non sembrano però aver indebolito più di tanto il governo: malgrado gli oltre quattro giorni senza elettricità, la popolazione ha mantenuto, in generale, la disciplina e la calma, ingegnandosi in vari modi per tirare avanti. Si sono registrati, sì, dei saccheggi a supermercati, farmacie e mercati popolari, ma essenzialmente circoscritti a Maracaibo, nello stato di Zulia. E invano Juan Guaidó ha provato ad alimentarli con inviti più o meno espliciti alla devastazione: «Non si può difendere la violazione della proprietà privata, ma neppure si può ignorare la disperazione di comunità che sono senza luce e acqua da giorni e non possono comprare ciò di cui hanno urgentemente bisogno», ha detto. Contro l’autoproclamato presidente ad interim è stata aperta ieri una nuova indagine da parte del Pubblico ministero, per la sua presunta partecipazione al sabotaggio alla rete elettrica.
Ben diverso, ovviamente, il tono usato da Maduro: «So cosa avete passato, compatrioti, e ammiro l’audacia, il coraggio, il livello di consapevolezza e la pazienza» dimostrati in questi giorni, ha dichiarato il presidente tornando a spiegare le diverse fasi del sabotaggio, iniziato con un cyberattacco al sistema computerizzato della centrale di Guri, proseguito con attacchi elettromagnetici diretti, «mediante dispositivi mobili, a ostacolare il processo di recupero», e completato con esplosioni ai danni di stazioni elettriche.

NON SARÀ FACILE, tuttavia, raccogliere le prove del sabotaggio, tanto più considerando, come segnala l’esperto di informatica Luigino Bracci Roa, che «nove informatici su dieci in Venezuela militano tra le fila dell’opposizione».

Di sicuro non è un caso che il governo Maduro abbia annunciato proprio ora la decisione di «non concedere una nuova proroga per la permanenza del personale diplomatico Usa» rimasto in ambasciata a causa dei «rischi per la pace, l’integrità e la stabilità del paese» legati a tale presenza, con relativo avviso ai funzionari statunitensi di lasciare il paese entro 72 ore.

E puntuale è arrivata la reazione del segretario di Stato Mike Pompeo, che, ignorando a bella posta l’annuncio di espulsione da parte del governo bolivariano, ha reso noto il ritiro del personale diplomatico rimasto, riconducendolo al «deterioramento della situazione» e alla «conclusione che la presenza di diplomatici in ambasciata rappresenti un ostacolo alla politica» degli Stati uniti nel paese.

Critiche alla strategia seguita dall’amministrazione Trump in Venezuela giungono però da 16 legislatori democratici – tra cui l’astro nascente della sinistra Alexandria Ocasio-Cortez – che, in una lettera a Pompeo, esprimono «profonda preoccupazione» per «i riferimenti all’intervento militare, l’imposizione di ampie sanzioni unilaterali e il recente riconoscimento di un leader dell’opposizione come presidente ad interim». Una bocciatura su tutta la linea.

NESSUN RIPENSAMENTO e nessuna incertezza vengono invece dall’Unione europea, che, secondo quanto ha assicurato il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas, è disposta, «se necessario, a imporre ulteriori sanzioni contro il governo Maduro».