E’ il 1973. Negli Usa e nel resto della società occidentale, il sistema capitalistico avanza senza freni. Un gruppo di persone residenti a Brooklyn, famoso quartiere di New York, immagina di aprire un negozio di alimentari in cui i clienti siano allo stesso tempo i proprietari. Qualche turno di lavoro ogni quattro settimane, un risparmio sul prezzo dei prodotti diventano le premesse per un’idea rivoluzionaria: costruire un supermercato alternativo. Più di quarant’anni dopo, The Park Slope Food Coop non è più solo una scommessa ma una cooperativa solidale sostenuta da 17 mila adesioni. Sempre fedele alla propria mission iniziale – «buon cibo a basso costo per i soci lavoratori» – il progetto americano riesce addirittura ad attraversare l’Oceano e ad approdare in Europa.

NEGLI ULTIMI ANNI, complice la crisi sociale ed economica, la formula di Food Coop viene adottata da decine di botteghe presenti in Francia e in Belgio.«Abbiamo guardato con interesse all’esperienza statunitense e anche a La Chouette di Toulouse e alla Bees Coop di Bruxelles. E quindi ci siamo detti: perché non provare? Potrebbe funzionare anche in Italia! E così, nell’attesa di diventare operativi, il prossimo 21 giugno (oggi, nda) taglieremo un primo importante traguardo: firmeremo l’atto di costituzione della cooperativa!» Giovanni Notarangelo è fra i 50 soci fondatori di Camilla. Si tratta del primo emporio italiano di comunità che su proposta di Campi Aperti – associazione per la sovranità alimentare – e del gruppo di acquisto solidale Alchemilla, aprirà in autunno a Bologna.
«Camilla è il frutto di un percorso lungo un anno, costruito attraverso dei tavoli tematici chiamati Cantieri». La progettazione dell’emporio si è sviluppata attraverso cinque gruppi di lavoro (organizzazione, comunicazione, diamo i numeri, produzioni e la buona compagnia), che sono seguiti all’elaborazione della Carta dei principi e degli intenti sottoscritta lo scorso settembre. I contenuti del documento tracciano nettamente la differenza fra l’emporio e un supermercato. Camilla, infatti, non si pone alcuno scopo di lucro ma è una comunità di ricerca delle nuove economie; ispirata all’autodeterminazione alimentare dei popoli e in sostegno all’agricoltura contadina e biologica. «Nell’emporio verranno distribuiti beni di consumo provenienti dalla filiera corta, da realtà sorte per contrastare esperienze di sfruttamento nelle campagne del Sud Italia o prodotti collocati nelle reti del commercio equo solidale. Sugli scaffali della bottega saranno sicuramente presenti le arance di Sos Rosarno e il Ri- Moncello ottenuto con i limoni della Piana di Gioia Tauro, lavorati nella fabbrica recuperata di Ri-Maflow a Milano. O ancora, il caffè verde Tatawelo importato dalle comunità zapatiste del Chiapas».

UN EMPORIO DI COMUNITÀ, NON UN MARKET. Secondo l’ultima indagine portata avanti dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nel 2013, il 72% dei prodotti di uso comune è veicolato dalla Grande Distribuzione Organizzata. A partire dagli anni ’80, le catene della distribuzione hanno monopolizzato le filiere alimentari, trasformandole in monocolture e in produzioni industriali. Tutto ciò ha comportato gravi conseguenze: dal danno economico subito dal produttore non allineato ai protocolli della Gdo, fino alla riduzione dei salari e dei posti di lavoro; a cui si è aggiunto il deturpamento ambientale dovuto alle colture intensive. Un altro risvolto negativo della medaglia è stato l’impoverimento culturale del consumatore medio attorno all’acquisto del cibo; ormai abituato a comprare una confezione di pomodori senza chiedersi quale percorso abbiano affrontato prima di essere esposti nel reparto ortofrutta. Dieci anni dopo, allo scopo di criticare l’attuale stile consumistico e illustrandone il grave impatto sull’ambiente, in Italia prendono forma i Gruppi di acquisto solidale. I Gas accorciano la filiera fra contadini locali e consumatori, favorendo la compravendita di un ottimo cibo biologico rispetto allo stesso invece distribuito in un supermercato. Ma i costi sono più elevati. In una ricerca portata avanti dall’Osservatorio Cores dell’Università di Bergamo sui Gas attivi in Lombardia, a causa dei bassi stipendi solo il 4,4% degli operai e il 2,7% dei disoccupati rientra fra i gassisti.

«Camilla sarà un luogo in cui si proveranno a superare i limiti legati al funzionamento dei Gas e alla distribuzione commerciale dei prodotti nei mercati contadini. Uno spazio dove ognuno potrà sentirsi parte di una comunità e in cui anche chi non dispone di un reddito economico elevato potrà accedere al consumo di cibo genuino e biologico». Come funzionerà? Alla fine del 1800, le società di mutuo soccorso si fondano su solidarietà e cooperazione. Insieme all’autorganizzazione, l’emporio di comunità assume quegli stessi valori. Secondo il patto sociale di autogestione, ogni socio svolge le attività necessarie al funzionamento della cooperativa a titolo gratuito (tre ore di lavoro al mese) e versa una quota di 125 euro per formare il capitale sociale. Per favorire la partecipazione dei soggetti economicamente svantaggiati, la somma potrà essere rateizzata. L’autogestione della bottega su base mutualistica ha intenzione di proporre un’alternativa al rapporto tra lavoro retribuito e lavoro volontario. Chi si impegna in una delle mansioni a scelta della cooperativa ottiene gratificazioni relazionali e personali. Ma anche economiche, poiché il prezzo dei prodotti scende grazie a questo meccanismo. «Nonostante Camilla sia sostenuta da 420 adesioni, non smetteremo di coinvolgere nuove persone in questo progetto», dice Giovanni. E conclude: «Ci auguriamo come l’esempio dell’emporio autogestito possa essere ben presto imitato da altre esperienze sparse lungo lo Stivale. E se questo accadrà, noi saremo ben lieti di offrire il nostro sostegno».