Se si vuole provare a comprendere gli umori profondi, più veri e meno mediatici della campagna elettorale ellenica è necessario andarsene in giro per locali. «La politica in Grecia si fa nei caffè», sostengono in molti, come pure nelle piazze della protesta e molto meno nelle agorà virtuali, ed è attorno a banconi usurati e tavolini malfermi che, in questi ultimi giorni prima del voto, si consumano discussioni accese, si commentano le ultime parole di Jean Claude Juncker o gli attentati a Charlie Hebdo, si incontrano i candidati alla ricerca del voto e li si incalza su questioni di ogni genere.

Alla luce del neon del café Mezè, pochi metri quadri e qualche sedia sulla strada nel quartiere di Patissia, a tre fermate della vecchia linea della metropolitana più un quarto d’ora a piedi dal cuore di Atene, se ne ha una dimostrazione. Ci sono tre candidati di Syriza che incontrano i cittadini. Patissia è un quartiere ultrapopolare non molto distante dal centro, devastato dalla crisi economica e flagellato dai tagli ai servizi. Qui negli ultimi anni hanno chiuso due degli otto ospedali fermati in tutta la città, con effetti devastanti sulla possibilità di curare persino i casi più urgenti: qualche giorno fa ha fatto scalpore la notizia che in tutti gli ospedali cittadini non si riusciva a trovare un posto in terapia intensiva per trenta pazienti. E’ sull’onda dell’impoverimento collettivo e della rabbia incontrollata contro tutto e tutti che, alle elezioni amministrative della scorsa primavera, Alba Dorata a Patissia ha preso il venti per cento dei consensi, quasi al livello di Agios Panteleimonas, il quartiere «nero« per eccellenza della capitale. Ed è proprio su questo terreno, di come incanalare il malcontento sociale e quale direzione imporgli, che Syriza gioca la sua partita più importante.

Nelle sterminate periferie della Grande Atene, la città metropolitana che ospita più di quattro degli undici milioni di cittadini greci, potrebbe determinarsi il futuro della Grecia. Sono i cittadini del Mezè e degli altri caffè in cui fervono le discussioni e gli incontri, alla vigilia di un voto che potrebbe cambiare la storia dell’Europa, che potrebbero dare a Syriza i consensi necessari a formare un governo monocolore. Ed è in luoghi come questo, dove si forma ancora l’opinione pubblica come nel secolo passato, che si deciderà pure il futuro politico di Alexis Tsipras e compagni. Se non sarà in grado di dare risposte concrete alla rabbia sociale e alla frustrazione di quel terzo della popolazione finito sotto la soglia della povertà e della classe media spazzata via da sette anni di crisi, il sogno di Syriza svanirà ben presto e allora sì che la situazione si farà dura, per la Grecia e forse per l’Europa intera.

La serata (quasi di primavera precoce) al caffè Mezè è gonfia di questi significati e di una speranzosa attesa. Si presentano Dimitris Belladis, un avvocato di mezza età che fa anche parte del comitato centrale del partito, e Andreas Nefeludis, un omone scarmigliato figlio di uno storico leader del Partito comunista e tra i fondatori di Dimar, un partitino della sinistra democratica abbandonato quando ha deciso di sostenere la grande coalizione di governo. Si attende pure un’altra parlamentare, Mania Papadimitriou, un’attrice abbastanza nota in Grecia. Viene annunciata pure, con toni enfatici, la presenza di un giornalista del manifesto, che «trasmetterà la nostra lotta in Italia».

L’atmosfera è informale, non ci sono microfoni e chi ha una buona voce viene ascoltato di più, come nelle assemblee di un tempo. «La cosa più importante è affrontare la crisi umanitaria. Ci sono persone che non hanno accesso ai beni fondamentali per vivere in modo dignitoso: acqua, casa, cibo», esordisce Belladis, che punta subito al sodo sviscerando il programma sociale di Syriza: «Metteremo un tetto minimo di 700 euro al mese per gli stipendi, tornerà la tredicesima per le pensioni minime, toglieremo la tassa ingiusta sulla casa». Si tratta di un’imposta molto contestata perché è calcolata su valori che non corrispondono a realtà, visto che i prezzi degli immobili sono letteralmente crollati (ad Atene si trovano appartamenti ormai anche a 5 mila euro). Infine, «le banche devono essere poste sotto il controllo dello Stato». «Queste misure», conclude Belladis, «sono indipendenti dalla rinegoziazione del debito con l’Europa. Le faremo comunque». Nefeludis parla invece di un documento segreto del governo guidato dalla troika per portare l’età pensionabile a 72 anni.

La strategia di Syriza è di opporre proposte chiare e comprensibili alla «politica della paura» della Nea Democrazia di Samaras, che paventa banche chiuse il giorno dopo il voto, crolli in Borsa e fughe di capitali. «La speranza sta arrivando», è lo slogan del partito, ribadito anche nei manifesti elettorali che tappezzano Atene. Una linea che sta pagando, almeno stando ai sondaggi che danno la coalizione della sinistra radicale ben oltre il 30 per cento. Il programma viene ribadito al café Mezé, ma quel che è più interessante è ascoltare cosa ribolle nella pancia dell’elettorato.

Evasione fiscale e pensioni

La discussione ben presto si riscalda e i candidati devono tener testa a un diluvio di domande, tutte molto concrete. «Che farete contro l’evasione fiscale?», chiede uno. Risponde Belladis: «Tasseremo la grande ricchezza: in Grecia solo pochissimi evasori della lista Lagarde sono stati controllati. Dovremo riformare anche la burocrazia statale, che è una delle cause della corruzione. Sappiamo bene che non sarà facile. Bisognerà scontrarsi, ma non abbiamo paura«. Un signore in prima fila si infervora: «Ci sono liberi professionisti come me che non riescono ad andare in pensione perché non sono riusciti a versare tutti i contributi. Cosa succederà?». «Ci sarà un ufficio che regolerà il debito a seconda di quello che la persona potrà pagare. Le imposte vanno calcolate su quanto un cittadino guadagna e un ufficio si occuperà di capire come pagare, fino a 84 rate. Il prelievo non potrà superare ogni mese il 30 per cento dello stipendio«, spiega Belladis. Il libero professionista ribatte: «Se farete questo vi voterò con tutte e due le mani. Anche chi vota il Kke (il Partito comunista, che ha scelto di non allearsi con Syriza, nda), se viene a saperlo, lo farà».

Si accende una discussione sul fatto che i parlamentari non hanno rinunciato allo stipendio di gennaio, nonostante il Parlamento sia stato sciolto per le elezioni anticipate. Si tratta di un argomento anti-casta che va per la maggiore. C’è chi arriva a prendersela anche con i dipendenti del Parlamento («sono impiegati ricchi, i loro stipendi aumentano e i nostri no«) e qualcuno dalle retrovie urla: «Dategli 180 euro al mese e buttateli in mezzo a una strada, come hanno fatto loro con noi». I candidati di Syriza non perdono la calma e invitano a non prendersela con i lavoratori del Parlamento perché «noi non vogliamo diminuire gli stipendi e neppure livellarli, ma alzarli a tutti».

Una donna bionda strappa applausi con un infervorato intervento. «Non sono una militante», premette, però dice di sostenere Syriza perché «questi qui hanno le mani pulite, sono la nostra speranza»: «Dobbiamo evitare che quegli altri rifacciano il governo. Poveri noi se vincono. In questo momento siamo sottoterra. Chi ha un mutuo da pagare, chi un prestito. Stiamo cercando di sopravvivere, non ci interessano la destra o la sinistra, si tratta della nostra vita». Un avventore racconta la storia del figlio, medico, che per lavorare se ne andrà in Germania, un altro dice che gli hanno tagliato la pensione e non può più bere la grappa e il caffè al bar, un’infermiera spiega che negli ospedali molti esami non si possono più fare e si potrebbe pensare all’apertura di centri sanitari, un uomo baffuto chiede una riforma seria dell’istruzione, qualcun altro si lamenta dei troppi controlli sulle pensioni di invalidità e gli anziani temono che se vincerà Syriza finirà come a Cipro, con prelievi forzati dai conti bancari. Un avventore pragmatico dice: «Dovete prendere la maggioranza per fare cinque cose, non dieci». La platea approva. Un’anziana signora aggiunge: «Anche se Syriza facesse la metà delle cose che promette, a me andrebbe bene».

Il pompiere incendiario

Al giro di boa della seconda ora di discussione, le domande non accennano a diminuire. «Usciremo dalla Nato? E’ una promessa che non potete mantenere», «cosa farete ai politici che ci hanno rovinato? Li vogliamo in prigione, anche quelli che hanno avuto il potere prima di Samaras». Nel frattempo è arrivata la terza candidata. Conquista la scena solo per qualche minuto: «Sono da pochi mesi in Parlamento, ma ho capito che bisogna tenere gli occhi sempre aperti perché dietro i titoli delle leggi spesso si nascondono norme che non c’entrano nulla».

Poi ci pensa un pompiere incendiario a infiammare di nuovo gli animi. Quando chiede se Syriza autorizzerà la costruzione di moschee tocca un nervo scoperto, in un quartiere dalla forte presenza di immigrati e non immune alle sirene della destra razzista. Un avventore urla: «Loro fanno sei figli, io non ne ho invece nessuno». I candidati sono bravi a non cavalcare i luoghi comuni e la pancia di una parte degli elettori, rispondono senza cedere su nulla e si confrontano con gli anti-islamici mettendo in luce le contraddizioni dei loro discorsi. Un esercizio complicato, di questi tempi. Ma alla fine della serata anche il pompiere xenofobo è sottratto ad Alba Dorata. Merito della democrazia e di una campagna old style, in tempi di piazze virtuali e rivoluzionari da tastiera, condotta quasi porta a porta e non a colpi di tweet. Anzi, caffè per caffè.