E’ uno scatto secco quello che si avverte quando un archetto in legno o una Sep, una micidiale trappola metallica, si stringe alle zampe di un pettirosso o alla gola di un cardellino. Una rumore estraneo alle voci di un bosco, una breve nota che ammutolisce un cinguettio e soffoca un respiro.

La morte per migliaia di passeriformi, quando in autunno dal nord Europa scendono in Italia percorrendo le valli prealpine della provincia di Brescia arriva così, in modo silenzioso, crudele e vigliacco. Oltre che illegale.

In questi territori la cattura degli uccelli migratori è attività antica, storicamente legata alla disponibilità di selvaggina di passo nei mesi invernali. Una importante risorsa stagionale per ogni comunità che abita valli e alpeggi, troppo povere da permettersi fucile e polvere da sparo ma abbastanza affamate da poter pensare a valide alternative di catture come i tradizionali archetti.

Queste trappole, diffuse fino ai primi anni del secolo scorso anche nel nord Europa, sono ancora utilizzate nelle valli bergamasche e ancor più nelle bresciane, dove ancora nel 1990 si stima ne fossero attive oltre 100 mila.

L’ARCHETTO È SOLITAMENTE REALIZZATO con un ramo di nocciolo curvato a ferro di cavallo da un laccio che termina in un sottile cappio che viene bloccato da un bastoncino chiamato «chiave». È questo il delicato congegno di scatto attivato involontariamente dalla pressione di un pettirosso che lo vede come un inoffensivo posatoio. Il cappio si stringe così alle zampe del malcapitato, rompendole di netto e condannandolo ad una lunga agonia prima della morte.

LA TRAPPOLA È RESA ANCOR PIÙ FUNZIONALE inserendo delle esche come alcune bacche di sorbo degli uccellatori, di cui molti uccelli si nutrono nella stagione. Il 90% delle vittime di queste micidiali trappole sono pettirossi, ma rimangono spesso intrappolate anche altri insettivori protetti, come cince e capinere.
L’ingegno del bracconiere si è poi sviluppato nel realizzare archetti in ferro, plastica e con artifizi per renderli più semplici da utilizzare, trasportare, ma anche da occultare. Solitamente sono distribuiti in filari chiamate «tese», da poche decine fino a diverse centinaia, ben nascosti nei boschi e nella bassa vegetazione, dove il bracconiere effettua giornalmente la verifica e la «raccolta» degli uccelli. Spiumati e puliti, saranno consumati in cene tra amici oppure offerti ad un redditizio mercato illegale, con prezzi variabili a 2-3 euro al «pezzo» che vanno a coprire un giro di richieste tra Lombardia, Vento e Friuli calcolato per almeno un milione d’euro.

A CONTRASTARE QUESTA STAGIONALE mattanza da oltre 25 anni intervengono forestale, carabinieri, vigilanza venatoria del Wwf e i volontari del Cabs – Committee Against Bird Slaughter – una organizzazione nata nel 1975 per la lotta a bracconaggio e uccellagione.

Andrea Rutigliano è il coordinatore per l’Italia del Cabs e ha partecipato a decine di operazioni antibracconaggio in Francia, Cipro, Malta e Libano.

«Operiamo nelle valli bresciane dall’autunno del 1985, da quando in pochi giorni furono raccolti oltre 3200 archetti a fronte di una stima di oltre 150 mila sul territorio. Grazie a una forte azione di presenza e repressione di forestale e carabinieri il numero dei reati di bracconaggio è adesso in forte diminuzione. Ma è anche vero che alla riduzione degli archetti abbiamo constatato un aumento delle trappole metalliche Sep, più facili da occultare e anche di libera vendita, in quanto prodotte per la cattura dei ratti».

ANCORA ADESSO QUEST’AREA è infatti uno dei black spot individuati dal Piano di azione per il contrasto degli illeciti sugli uccelli selvatici redatto nel 2017 dal ministero dell’Ambiente e dall’Ispra. Sono almeno sette le aree in Italia in cui il fenomeno del bracconaggio è particolarmente attivo e necessita di specifica sorveglianza – Prealpi lombarde e Sardegna per i passeriformi, delta del Po e zone umide pugliesi per anatidi e la Sicilia occidentale per i rapaci quali capovaccaio e l’aquila del Bonelli.

«L’uso delle trappole e reti per uccellagione è certamente diminuito, ma il fenomeno sta solamente cambiando di luogo e modalità», conferma anche Antonio Delle Monache, agente della vigilanza venatoria del Wwf, «sono molti i bracconieri che per sfuggire alla intensificazione della sorveglianza concentrano le trappole solo durante i giorni di grande passo dei pettirossi. Un modo per garantirsi ugualmente un buon carniere stagionale».

Mi spiega inoltre del recente fenomeno della migrazione di molti cacciatori bresciani verso la pianura lombarda dove, essendoci meno vigilanza, possono utilizzare indisturbati i richiami elettromagnetici illegali per facilitare l’abbattimento dei passeriformi, molti dei quali protetti.

«Adesso il nostro lavoro è diventato ancor più difficile» si lamenta Delle Monache, «la regione Lombardia obbliga noi agenti di vigilanza ad indossare un gilet di alta visibilità, rendendoci individuabili a centinaia di metri di distanza da chiunque, anche da cacciatori e bracconieri che ovviamente ne sono esenti».

I BOSCHI DI QUESTE VALLI ora sono un po’ meno silenziosi e si torna ad ascoltare la melodia del pettirosso e di qualche altro piccolo passeriforme. Ma in alto, sui valichi, ci sono centinaia di capanni da caccia che aspettano il passaggio di altri migratori che arrivano in Italia sospinti dal gelido inverno siberiano. Ma questa è un’altra storia.