Rovereto-Stradella. La tappa più lunga del Giro è un infinito trasferimento che scivola via al ritmo della musica di Paolo Conte. “E i chilometri sono più lunghi perché / È grigia la strada ed è grigia la luce / E Broni Casteggio e Voghera sono grigie anche loro / C’è solo un semaforo rosso quassù / Nel cuore nel cuor di Stradella”.

Come Paolo Conte nella canzone anche Pellaud si sentirà un po’ solo, perché in fuga non c’è Marengo a fargli compagnia. Ci sono però altri ventidue corridori evasi dal gruppo dopo una sessantina di chilometri, saranno loro a giocarsi l’alloro di giornata. Più indietro, proprio come nella canzone, mentre scorre la pianura padana c’è tempo per pensare. Può pensare Nibali nostro alla serie di giornatacce inanellate.

Al netto della sfortuna – sosteneva Ferretti che nel ciclismo non esiste – l’impressione è che sul finire della sua carriera si sia incaponito in cerca del bel gesto che gli permetta di prendere commiato dal gruppo con onore. Di qui una certa frenesia nella scelte delle corse, come se avesse qualcosa da dimostrare ancora. Da dimostrare non ha però un bel niente, corresse più tranquillo e senza affanni di certo lo potremmo ancora ritrovare a battagliare per qualche traguardo grande.

Può pensare Bernal ai travagli del giorno precedente. Si fosse trattato di una semplice sconfitta ad opera di uno che per una volta ha avuto più benzina ci sarebbe poco da preoccuparsi. Fossero invece i guai alla schiena ad esser riaffiorati, allora potrebbe anche naufragare. Quello che di Sega di Ala resta è il segnale carpito dal resto della concorrenza, che la maglia rosa può essere attaccata.

A questo staranno pensando Yates (ben guidato in ammiraglia da Brent Copeland, che zitto zitto, senza darsi arie da guru, fa alla grande il suo lavoro) e tutti gli altri che affollano le posizioni di rincalzo. Paradossalmente Bernal – è già successo a Sega di Ala – può trovare un alleato in Caruso, secondo della generale che ha però dichiarato di volere di qui in avanti guardarsi le spalle, più che dare l’assalto al trono.
Pensano invece all vittoria i componenti della fuga.

Il profilo della tappa cambia all’improvviso ai meno venti dall’arrivo, dove una serie di salitelle è disegnata per mettere un po’ di pepe in corsa. Non hanno tempo di accorgersene i fuggitivi che Cavagna schizza via tra le vigne dell’Oltrepò pavese.
Qui dove andava a caccia Gianni Brera si mette in caccia del francese il nostro Bettiol, memore delle sue imprese nelle Fiandre, lo raggiunge sull’erta di Canneto, lo pianta e si invola trionfante sul traguardo.