Scrittore, editorialista, Lajos Parti Nagy è tra gli intellettuali che animano oggi il dibattito politico-culturale ungherese e la critica al governo di Viktor Orbán.

Cosa ha significato per l’Ungheria il 1989?

Gli anni Ottanta sono stati l’ultimo stadio di un sistema sempre più insostenibile. In quel periodo, ormai, non credevano più nel futuro del sistema nemmeno i suoi principali beneficiari, con l’eccezione di alcuni faccendieri che si preoccupavano di tutelare la loro carriera e di inserire i loro beni nell’economia di mercato. Questo non deve comunque far dimenticare i meriti della politica ungherese e del suo contributo al crollo del Muro di Berlino dal momento che nell’estate del 1989 le autorità del paese lasciarono che centinaia di migliaia di tedeschi orientali superassero il confine per andare in Austria e in Germania federale. Quello del 1989 è stato il più grande cambiamento dal 1945. Vennero creati nuovi partiti, una democrazia parlamentare goffa e zoppicante intraprese la strada delle elezioni libere pronta a difendere valori quali la «sacralità» della proprietà privata, la libera concorrenza, la libertà di parola e di opinione. In sintesi, avevamo la possibilità di realizzare un tipo di sistema occidentale con tutti i suoi pro e contro.

Come sono cambiati da allora la società ungherese e il mondo della politica?

Molti partiti politici comparsi con la svolta del 1989 sono spariti, il Fidesz è in sé l’antitesi del cambiamento di regime e deve il suo dominio autocratico anche al fatto che questa società non ha avuto finora modo di sperimentare la convivenza con istituzioni democratiche e acquisire dimestichezza con i diritti derivanti da una condizione di libertà. Sembra che 25 anni siano sufficienti per la realizzazione della democrazia, ma sono pochi per impararla e interiorizzarla ed è spaventoso vedere quanto sia facile distruggere questa democrazia parlamentare tra l’indifferenza della maggioranza e l’accordo entusiastico di una minoranza. Ma il problema principale è l’inarrestabile aumento della povertà, l’assenza di pari opportunità e l’aumento delle differenze fra poveri e ricchi. Intanto il prestigio degli intellettuali diminuisce e la fidelizzazione è sempre più il criterio fondamentale per avere successo in ambito lavorativo. Quei pochi intellettuali liberi che esistono vengono emarginati.

Facciamo un bilancio di questi 25 anni…

Il cambiamento di sistema ha suscitato grandi illusioni al cui mantenimento erano fortemente interessati anche i partiti politici . Allo stesso modo tutti speravano che in un tempo ragionevolmente breve il livello di vita del paese avrebbe eguagliato quello del sospirato occidente. Molti erano convinti che si potesse saltare quel lungo percorso di apprendimento civile che porta alla nascita di una comunità fatta di cittadini liberi, non soggetti ad alcun potere. Ma è chiaro che per questo ci vuole del tempo. I governi che si sono susseguiti alla guida del paese non hanno operato bene, la rapida liquidazione dell’industria pesante da parte dei socialisti ha reso ingestibili la disoccupazione e la miseria. Oggi quasi la metà della popolazione ungherese vive sotto la soglia della povertà. Questo lacera il Paese.

Cosa significa oggi qui la parola democrazia?

In Ungheria è stata creata una democrazia fragile, nessuno ha pensato che la si dovesse difendere, proteggere, alimentare per non dover rinunciare a tutto. Il paese non è ancora veramente consapevole che Orban, il quale ha vinto le elezioni della scorsa primavera, sta creando una cosiddetta «democrazia illiberale» e esercita il potere in modo sempre più dittatoriale. Il potere è sempre più concentrato nelle mani di una sola persona ed è centralizzato. Grazie all’assenza di un’opposizione forte e organizzata Orbán agisce indisturbato senza che le sue azioni abbiano delle conseguenze. Di recente l’idea immorale e insensata della tassa sull’uso di internet ha portato in piazza decine di migliaia di persone, poi il primo ministro ha ritirato il progetto di legge comportandosi una specie di «re magnanimo». Tuttavia la gente non manifesta contro operazioni ben più gravi come quella della vendita del paese ai russi con la centrale nucleare di Paks o per la distruzione del sistema della pubblica istruzione. Da poco è saputo che il governo vuole ridurre il numero dei posti nelle scuole superiori e sopprimere le scuole nate grazie a fondazioni. Il regime non nega di aver bisogno di sottoposti ubbidienti, non di cittadini liberi. Ultimamente mezzo milione di persone ha lasciato il paese, anche l’Europa identifica involontariamente l’Ungheria con i suoi dirigenti e lentamente si allontana da noi.