Riposano in quella cava ormai da vent’anni e nessuno sa come portarle via. Eredità di anni in cui gli sversamenti di rifiuti tossici e radioattivi avvenivano anche e soprattutto al Nord, e nessuno ne parlava – come non se ne parla adesso. L’ex cava Piccinelli di Brescia sarebbe una delle tante buche riempite di rifiuti e dimenticate della Lombardia profonda, se non fosse per le scorie radioattive sversate e tombate negli anni ’90. Senza che la magistratura trovasse mai il colpevole.

Nei mesi scorsi la Prefettura di Brescia ha scritto al ministro dell’Ambiente Andrea Orlando, chiedendo l’aiuto del dicastero «per la concreta possibilità che la falda freatica, anche in ragione della eccessiva piovosità degli ultimi periodi, possa raggiungere i rifiuti radio contaminati». Un allarme più volte ribadito, lo scorso anno, dalle autorità sanitarie e ambientali. Chi aveva immaginato di risolvere il problema lasciando i rifiuti radioattivi nel terreno (gli esperti nucleari di Nucleco, gruppo Sogin) aveva fatto male i conti: ora quelle scorie, 2mila metri cubi di polveri e scarti della fusione dell’alluminio contaminate dal Cesio 137, rischiano di entrare in contatto con l’acqua di falda. Che le scioglierebbe facilmente nel sottosuolo: il Cesio 137 infatti è considerato uno degli isotopi radioattivi più solubili, una situazione resa ancora più grave dalla presenza tra i rifiuti di blocchi salini. Tutto dipende dalle continue oscillazioni della falda, tenute sotto osservazione dall’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (Arpa), che dopo aver dimenticato di effettuare i monitoraggi per alcuni anni ora ha inserito l’ex cava «nella rete dei controlli dei siti significativi per la loro rilevanza ambientale». Lo scorso ottobre, riferisce il Corriere di Brescia, la falda acquifera sarebbe arrivata nuovamente a 20 cm dalle scorie. Proprio come nel periodo di maggiore allarme, il 2011: la falda era arrivata quasi a toccare i rifiuti radioattivi anche se, in caso di problemi, non era disponibile una rete valida di monitoraggio delle acque. «Negli ultimi 10 anni – scriveva nel marzo 2012 il geologo del dipartimento Arpa di Brescia – almeno una volta una delle aree a maggior contaminazione dovrebbe essere andata sott’acqua». Nessuno può dire però se questo abbia determinato, tra il 2007 e il 2011, un inquinamento radioattivo della falda acquifera di Brescia: la rete di monitoraggio era priva di due piezometri (i pozzi per il prelievo delle acque sotterranee), e dai documenti di Arpa e Comune di Brescia non risultano controlli risalenti a quel periodo.

Qualche giorno fa l’Arpa ha reso note che le ultime analisi sulle acque di falda escludono la presenza di radioattività. Ma ha anche fornito alcuni dati che non corrispondono alla documentazione storica del sito inquinato. L’Agenzia per l’ambiente ha parlato di 1500 metri cubi di rifiuti radioattivi, anche se i dati hanno sempre riferito di una massa di 2000 metri cubi. Dove sarebbero finiti quindi 500 metri cubi di scorie contaminate dal Cesio 137? «Era una stima approssimativa» spiega al manifesto la direttrice dell’Arpa di Brescia, Maria Luisa Pastore. Ma non è l’unico parametro a non corrispondere. Anche la misura del picco di radioattività, rilevata nel dicembre scorso dall’Arpa, sembra enormemente inferiore a quella accertata dagli esperti nel 1998: ora l’Agenzia registra circa 188mila Becquerel per kg di terra (il limite è 1000 Bq) mentre in passato il livello – uno dei più alti mai registrati in una zona urbana, tanto da far saltare sulla sedia i medici della Asl – era di un milione e 55mila Bequerel misurati dai laboratori Asl di Bergamo nel 1998 (e confermati l’anno successivo dagli ingegneri della Sogin).

Dov’è finita la radioattività? «Anche su questo non c’è da preoccuparsi – assicura ancora la direttrice dell’Arpa – i miei dirigenti fisici hanno spiegato che potrebbe essere semplicemente cambiato il metodo di calcolo». Ma il mistero resta. Uno dei più inquietanti sospetti è che negli anni passati, mentre le coperture impermeabili sul terreno contaminato si erano completamente distrutte con il tempo, il contatto tra l’acqua e il Cesio 137 abbia disperso nell’ambiente la radioattività. Un incidente di cui non c’è però alcuna evidenza.

Non sarebbe la prima volta nella gestione delle scorie radioattive dell’ex cava Piccinelli che una “distrazione” rischia di causare problemi ben più gravi. Nel dicembre 2012 la Nucleco è stata incaricata dal Comune di Brescia di rimuovere alcuni fusti radioattivi abbandonati in un capannone fatiscente nell’ex cava, riempiti probabilmente nel corso di carotaggi e piccole bonifiche nucleari autorizzate dall’Asl nel sito inquinato. A distanza di quindici anni i fusti sono stati trovati distrutti e aperti, il contenuto disperso nell’ambiente con un aumento di radioattività di dieci volte oltre il fondo naturale.