Di fronte alle grandi trasformazioni planetarie dobbiamo adattarci, essere resilienti. Per farlo, secondo la ricetta proposta a Bologna da Kilowatt, che per il terzo anno organizza il festival «Resilienze» (www.resilienzefestival.it), bisogna essere «radicali e radicati».

Tra oggi e domenica 15 settembre, la Serre dei Giardini Margherita (in via Castiglione 134, a Bologna), diventano uno spazio dove l’arte aiuta a «costruire immaginari nuovi, positivi e collettivi rispetto alla sostenibilità, perché – spiega a l’ExtraTerrestre Nicoletta Tranquillo, co-curatrice del festival con Jonathan Ferramola – crediamo che non sia necessario spaventare le persone per portarle all’azione, non serve nessun immaginario distopico e catastrofista».

«Resilienze» muove dalla consapevolezza di un’urgenza etica, ecologica, sociale, e per quattro giorni offre al pubblico strumenti per ricercare la determinazione necessaria a prendere posizioni nette.

Mentre in Parlamento si nega l’emergenza climatica (è successo a giugno), e alcuni professori universitari scrivono lettere che negano il ruolo dell’uomo come attore del climate change, a Bologna si danno appuntamento soggetti che hanno fatto scelte radicali, capaci di essere radicati sul territorio. Per agire e invertire la rotta di questa società che sta distruggendo il nostro ambiente, suggeriscono i curatori del festival, «abbiamo bisogno di fare scelte radicali, di essere orgogliosi delle nostre scelte radicali, e che però siano radicate sui territori».

Il festival si articola in quattro sezioni. «Percezioni», dove l’arte si interroga sui grandi cambiamenti tra scrittura, musica e teatro. «Sguardi», dedicata al cinema e alla fotografia capaci di raccontare storie che s’impongono nella loro urgenza (tra i fotografi, anche Fausto Podavini, due volte vincitore del World Press Photo, per raccontare il progetto Omo Change, il lavoro fotogiornalistico che lo ha visto impegnato per 6 anni in Etiopia per documentare i grandi cambiamenti ambientali e sociali nella valle dell’Omo e sul lago Turkana in Kenya, a seguito della costruzione della Gibe III: la più alta diga di tutta l’Africa).
«Sperimentazioni», dove saperi antichi e nuove tecnologie servono a giocare e a mettersi in gioco, grazie all’opera di artisti, attivisti, giornalisti e menti libere. «Narrazioni», infine, uno spazio di dialogo, scambio, discussioni, ascolto, grazie a talk, presentazioni di libri e fumetti.

«Usiamo i linguaggi dell’arte per promuovere verso un pubblico più ampio dei classici addetti ai lavori i concetti chiave della sostenibilità, del cambiamento climatico. Main artist di questa terza edizione è Antonello Ghezzi, un collettivo di Bologna, ormai attivo a livello internazionale, che abbiamo scelto per la loro capacità di lavorare sulla costruzione di immaginari positivi, e perché realizzano performance partecipate», spiega Nicoletta Tranquillo.

Le due opere che gli Antonello Ghezzi portano alle Serre si chiamano Shooting Star, un’installazione sonora capace di dare forma alle stelle cadenti, e T-Oracolo. La realizzazione di quest’opera è partita durante l’estate, coinvolgendo gli avventori delle Serre dei Giardini Margherita e la community online, per raccogliere le domande che le persone avrebbero fatto ad un oracolo, e queste domande diventano l’opera d’arte che potrà essere vista.

In programma ci sono tanti altri personaggi radicali e radicati, da Massimo Zamboni – che porterà lo spettacolo Anime galleggianti (che mette in scena il racconto acustico del viaggio compiuto assieme a Vasco Brondi, Le luci della centrale elettrica, sulle acque magiche del Tartaro, uno dei tanti canali che solcano la pianura del Polesine) – al musicista e compositore John De Leo, al fotogiornalista Michele Lapini, che presenta Antropocene, project fotografico di indagine e documentazione sulle cause e sugli effetti del cambiamento climatico in Italia.

«Vogliamo proporre un dibattito intorno al concetto di Antropocene, perché passa un messaggio, quello dell’uomo al centro del cambiamento epocale, che manifesta una visione egoica, che rischia di essere amplificata», sottolinea Nicoletta Tranquillo. «In questa terza edizione del festival caliamo assi di approfondimento molto interessanti – spiega Jonathan Ferramola. «Per me è l’edizione della consapevolezza: ci stiamo rendendo conto che è difficile immaginare un percorso di crescita sui temi delle trasformazioni ambientali, se prima non riusciamo a capire se, come si chiede nel suo ultimo libro Safran Foer, stiamo giocando, se cioè queste dinamiche globali ci preoccupano davvero o in modo superficiale, quanta capacità abbiamo di superare ostacoli individuali, il piccolo cabotaggio domestico, per fare rete, gruppo, e creare comunità resilienti più ampie. Noi ci impegniamo a mettere a disposizione saperi, per partecipare alla costruzione di ipotesi e percorsi di cittadinanza attiva».