Raccontano «l’altra verità» sul buco di Atene, fanno i conti in tasca alla cancelliera Angela Merkel, ribattono colpo su colpo alle accuse di spreco dei tedeschi. Hanno il vantaggio analitico di conoscere entrambe le mentalità, e conservano – perfino meglio dei connazionali in patria – la memoria storica dei fatti.

Spigoli di voce tra i 10.953 immigrati greci di Berlino, che hanno scelto il loro destino ben prima del referendum. Sono disponibili a «discutere» il debito del loro paese e abituati, per condizione, a ricostruire la situazione attuale partendo da più lontano.

«Lo Stato non l’abbiamo mica fatto fallire noi. Sono stati i nostri politici corrotti a rovinare la Grecia. Ma all’epoca in Europa nessuno diceva niente, anche se tutti sapevano che avevamo truccato i conti. Adesso la merda è arrivata alla gola e presentano il conto alla gente comune. Chiedano i soldi ai loro amici greci, socialisti e conservatori, o alle banche» spiega Eleftheria, 32 anni, artista da 15 anni ormai residente a Kreuzberg, uno dei tre rioni turchi di Berlino. Prima di risolvere, sillogisticamente, la questione del debito nei confronti di Ue e Fmi: «Io e milioni di altri greci non abbiamo ricevuto nemmeno un cent degli aiuti europei. Quindi non restituiamo niente.».

Più o meno quello che pensa Christos, studente di matematica alla Freie Universität a Dahlem. Vive a Berlino da meno di un anno e sembra passarsela meglio della media dei suoi connazionali emigrati nel cuore della Germania. Il tono è meno esasperato, tuttavia l’analisi esattamente la stessa.

«Sono tra i pochi fortunati: i miei genitori in Grecia vivono quasi come prima. Però, tra i miei vecchi amici sono anche l’unico che può ancora permettersi di studiare». Il debito? «Sanno benissimo che a queste condizioni sarà impossibile ripagarlo. Abbiamo venduto il Pireo ai cinesi, ipotecato i pedaggi delle autostrade, tagliato tutto quello che si poteva tagliare. Cosa dobbiamo fare ancora? Chiudere le scuole e gli ospedali? Spero che al referendum vinca il No».

Poi c’è chi accusa gli altri «greci», cioè noi italiani. È il caso di Thodoris, ventenne, cameriere e dj in un locale ellenico nel quartiere chic di Prenzluer-Berg. Lui, non dimentica il tradimento degli altri Pigs dell’Europa.

«Gli ultimatum del Fondo monetario internazionale e dei Paesi del Nord me li aspettavo, non sono sorpreso: pensano solo ai soldi. Quello che davvero non immaginavo era la pugnalata alle spalle di Spagna, Portogallo, Irlanda e Italia. Avrebbero dovuto lottare insieme a noi contro l’austerità imposta dalla Merkel. Dovevano preoccuparsi della stessa corda che ci sta impiccando tutti, invece ci hanno abbandonati al nostro destino. Non hanno capito che i prossimi a fare “bum” saranno proprio loro».

Dub, si fa chiamare così, è greco originario di Cipro, e alle ultime elezioni politiche non ha votato per «i comunisti di Syriza» né per «i fascisti di Alba dorata». Ma da «realista» ributta anche lui la palla in campo avversario: «Provino tedeschi e olandesi a vivere con 400 euro al mese. La città di Berlino ha miliardi di debiti, eppure la Merkel non pensa di imporre ai berlinesi condizioni simili alle nostre. Al contrario, qui si continua a buttare denaro come se nulla fosse: la ricostruzione del castello, il nuovo aeroporto, il make-up delle stazioni della metro».

Fuori dal coro Stavros, 46 anni, una vita da disoccupato in un’isola delle Cicladi, va avanti a furia di lavoretti a Friedrichshain: «Sono andato via dalla Grecia ben prima della crisi e non ho alcuna intenzione di tornarci. Abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità per almeno 20 anni ed è giusto che rispettiamo gli impegni presi. Se usciamo dall’euro per noi è la fine, ma non sarà una vittoria nemmeno per l’Europa» dice con un mezzo sorriso.
È l’unico che voterebbe sì al referendum di domenica, anche se è convinto che sarà comunque fallimento per la Grecia. «Se vince Tsipras, si torna alla dracma: carta igienica. Ma se vinciamo noi, siamo rovinati lo stesso».