Roma, Corviale Foto di Pasquale Liguori

«In queste ore stiamo discutendo con il sindaco del distretto di Marzahn per provare ad istituire un gemellaggio con Corviale. Una forma di partenariato per creare programmi di scambio culturale, periodi di studio reciproco dedicati anche agli amministatori, italiani e tedeschi, perché si possa imparare gli uni dagli altri». Victoria Loprieno, impiegata del Quartiersmanagment di Berlino, è appena rientrata da Roma dove, insieme ad una delegazione di cittadini di Marzahn, ha visitato il quartiere romano di Corviale, nell’ambito del progetto «ImpAsse» del fotografo Pasquale Liguori.

La funzionaria berlinese non può immaginare che a trovarne giovamento, da uno scambio del genere, sarebbero soltanto i nostri amministratori. E i cittadini italiani sarebbero senz’altro grati agli insegnanti tedeschi.

Il programma di managment a cui lavora Loprieno, creato nell’ambito dell’iniziativa nazionale «Città sociale» che coinvolge 34 periferie «difficili» di Berlino, è finanziato dall’Unione europea e dal governo centrale tedesco, ma soprattutto dal Land di Berlino. E si prefigge di «promuovere la coesione sociale nelle periferie attraverso il coinvolgimento dei residenti nei processi decisionali che interessano il loro territorio».

Marzahn NordWest è un quartiere popolare dell’ex Berlino est, costruito tra il ’77 e l’89, ai tempi della Ddr, per volere dell’allora presidente Erich Honecker. Oggi nel distretto vivono 23502 abitanti, di cui il 23% sono nuovi immigrati e il 56,52% bambini. Il 35,28% degli abitanti locali dipende da un aiuto pubblico. «È un quartiere abbastanza giovane soprattutto grazie alle famiglie di immigrati che vi si stanno trasferendo, allo stesso tempo c’è un 40% di residenti storici, di prima generazione, che sta invecchiando e non ha ricambio generazionale». Nella Rdt, prima della caduta del muro, spiega Loprieno, «gli abitanti di Marzahn avevano una serie di doveri, come curare il verde, che hanno permesso di sviluppare un forte radicamento col territorio, cosa che manca completamente ai nuovi abitanti». È l’inizio di una sfilza di difficoltà di integrazione che vanno ad aggiungersi ai problemi economici subentrati dopo l’89. «La perdita di status sociale ha creato sentimenti di rancore, la sensazione di essere stati lasciati in periferia, non solo delle città ma della società. Da qui, la crescita dei partiti di estrema destra in un quartiere dove è sempre stata forte la sinistra del Die Linke. E, dal punto di vista delle biografie personali, c’è stata l’emersione di gravi problemi psichici».

Cos’è il Quartiersmanagment?
Un progetto pubblico iniziato a Marzahn nel 1999, che doveva durare pochi anni ma, poiché la situazione era estremamente difficile, è stato rinnovato più volte. Si concluderà nel 2020. Fino all’anno scorso, il quartiere aveva a disposizione risorse pubbliche che venivano gestite da una sorta di parlamentino, un «Consiglio di quartiere» composto da 15 rappresentanti dei cittadini e da circa 10 esponenti delle organizzazioni presenti sul territorio, come il centro comunale, le scuole, gli asili nido, le associazioni, ecc. Al tavolo siedono anche le istituzioni del Land e nazionali ma non hanno diritto di voto. I rappresentanti dei cittadini venivano eletti con un voto organizzato in vari luoghi del quartiere. Questo «Consiglio» poteva finanziare piccole e medie iniziative: programmi di educazione aggiuntivi per lo sviluppo sociale dei ragazzi, attività culturali, progetti di integrazione interculturale e intergenerazionale, incontri con i rifugiati che vivono nei centri di accoglienza dislocati sul territorio, eventi per rendere le piazze più sicure e non più solo luoghi di paura. A disposizione c’erano, fino all’anno scorso, due budget: uno da 10 mila euro l’anno per piccole proposte, anche a sostegno delle iniziative del singolo cittadino per creare socialità (tipo una festa, e così via). Poi avevamo un altro budget da 250 mila euro l’anno circa per progetti a medio termine, fino a 3/5 anni. C’erano anche due fondi più consistenti amministrati però direttamente dal land e finalizzati a progetti più grandi, sempre a scopo sociale. In questo caso il finanziamento non era garantito ma si entrava in concorrenza con i progetti di altri quartieri.

Alla fine di questo programma cosa lasciate in eredità agli abitanti di Marzahn?
La finalità è quella di lasciare loro la capacità di autorganizzarsi. In questi ultimi tempi stiamo giusto discutendo del ruolo che deve avere il nostro «Consiglio», visto che il programma sta per finire. I cittadini vorrebbero continuare, mantenere in vita questa forma di confronto sui problemi del territorio, per poter organizzare forme di lotta politica e di interlocuzione con le istituzioni cittadine. E anche per poter trovare nuovi finanziatori, visto che non ci sono più fondi pubblici, in modo da mantenere gli eventi che sono diventati tradizionali in questi venti anni.

Sembra tutto molto bello, eppure a Marzahn oggi è in mano all’Alternative für Deutschland. Non basta dunque il famoso «lavoro politico nei territori» della sinistra?
Eh, assolutamente no (ride). Noi non diciamo mai che possiamo risolvere tutti i problemi perché il disagio sociale spesso ha altre cause. Di sicuro dovuto ai cambiamenti che ci sono stati dopo la riunificazione della Germania, ma anche perché i ricchi stanno diventando sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Su questi problemi noi non possiamo nulla. C’è una grande parte della popolazione che si sente persa e che non ha più fiducia nella politica né nelle amministrazioni, e che non vuole essere coinvolta. E questa è sempre stata la nostra grande sfida: come coinvolgere la gente che ha problemi grandi come la disoccupazione e convincerla a partecipare. Noi abbiamo potuto solo mettere un seme, che adesso deve germogliare. Questa attività che abbiamo stimolato ha creato soprattutto un senso di identità che si era perso. Iniziative che sono diventate tradizionali, molto belle ma che hanno coinvolto solo poche persone: a conti fatti, non oltre un centinaio, se consideriamo anche i votanti. Non certo le 25 mila di Marzahn.

Voi avete visitato Corviale, avete avuto modo di confrontarvi con i cittadini e le associazioni del quartiere romano. Quali similitudini e quali differenze ha trovato con Marzahn?
Abbiamo notato quante cose sono possibili quando si coinvolgono i cittadini. Abbiamo visto tutti i progetti realizzati nel quartiere e incontrato tanti residenti coinvolti, gente che si è dedicata completamente a quei progetti e ha messo in conto perfino rischi personali. Immagino che anche a Corviale sia difficile coinvolgere le persone, ma la nostra impressione è che forse loro sono riusciti più di noi in questo.

A Corviale però le associazioni denunciano la latitanza perenne delle istituzioni…
Ecco, forse non avendo il supporto dell’amministrazione capitolina e della politica, i cittadini romani hanno dovuto fare da soli, per poi tentare di coinvolgere l’amministrazione locale. Invece da noi è tutto un po’ “top/down“, cioè dall’alto è stato calato in basso questo programma, con le sue regole, spesso troppo astrarre, e le sue strutture. Ma poi ci siamo sempre trovati davanti alla sfida di come coinvolgere i cittadini in questi progetti.

Che impressione le ha fatto il quartiere romano, dal punto di vista della qualità della vita?
Sicuramente meno invitante di Marzahn, dove c’è stata una buona ristrutturazione architettonica e gli spazi verdi sono più curati. Ma allo stesso tempo, conoscendo meglio la situazione, ci sono anche molte cose in comune, per esempio il fatto che la gente non ha più fiducia nelle istituzioni. A Corviale tutto è più estremo, certo: l’attuale problema di dover liberare il quarto piano dagli occupanti, per esempio, è una sfida molto più grande di quelle che abbiamo noi.

L’Europa si costruisce così?
Esatto!! È proprio così. Questo incontro che abbiamo avuto tra Marzahn e Corviale è stato davvero importante, perché vedere come gli altri affrontano i tuoi stessi problemi mette in moto molta creatività. Posso dire che questo è stato uno dei progetti che è riuscito ad attivare più energie di tanti fatti prima, perché l’idea di guardare oltre il proprio orizzonte è sempre fonte di ispirazione. Spero che si possa proseguire anche in futuro, per imparare gli uni dagli altri. Per andare oltre un pensiero asfittico e chiuso in se stesso. Per dare senso a questa nostra Europa.