A Ponte S. Pietro, vicino a Bergamo, in pieno corona virus, se ne è andato anche il compagno Vittorio Moioli, fra i fondatori del Manifesto, tra pochi giorni avrebbe compiuto 82 anni. Nonostante i polmoni, da tempo minati e aggrediti ora dal virus, ancora lavorava, scriveva, discuteva, soprattutto con i giovani. Non si rassegnava ad accettare che la sua sinistra fosse così cieca, sorda, irrilevante. Era la coscienza critica di noi vecchi compagni di allora, con la sua memoria, la sua lucidità, il suo brutto carattere. E la sua lungimiranza nell’interpretare le questioni sociali e politiche dalla parte dei proletari.

Ci ha lasciato i suoi scritti sul lavoro degli emigranti in Svizzera, la “controinformazione” di quello che succedeva nel suo territorio, Ponte San Pietro e l’Isola bergamasca (lo stesso di Eliseo Milani), ma, soprattutto, i pioneristici studi sulla Lega di Bossi, che ancora oggi offrono una delle letture più intelligenti su quel fenomeno e sulla sua componente fascista, benché strettamente legata a quelle classi sociali a cui lui aveva dedicato la vita fin da quando aveva lasciato il lavoro nella fabbrica tessile Legler, per diventare funzionario del Pci.

Dopo I nuovi razzismi (1986), Angelo Bendotti, Bruno Ravasio, Riccardo Olivati, Giacinto Brighenti e io avevamo fatto un giro per tutta la provincia per presentare Il tarlo delle leghe (1990), cin luoghi come la Biblioteca “Di Vittorio” e l’Istituto della Resistenza: ricordo le sale piene, il bisogno di capire, la sua ostinazione a spiegare.

Era stato, fin da giovane, un convinto militante del Pci e poi una delle anime del Manifesto bergamasco: il grande costruttore di una delle federazioni manifestine più importanti in Italia, per numeri e per nomi. Quando nel 1974, chiamato al Regionale, passa l’incarico a un Gabrio Vitali ancora ragazzo, continua, per etica personale, a occuparsi anche delle vicende di un piccolo comune bergamasco, quando serve: un vero «funzionario comunista», stando alla definizione che Magri dedicò a Eliseo Milani.

Nel convegno per il cinquantesimo de Il manifesto, tenuto a Bergamo lo scorso settembre, così ne ricordava l’impegno Vittorio Armanni: «È mia convinzione che buona parte dei meriti del radicamento territoriale e nelle fabbriche del Manifesto sia stato certamente da attribuire al carisma di Eliseo, alle compagne e compagni direttamente presenti nella loro realtà.

Ma va riconosciuto l’instancabile e grande lavoro di coordinamento politico svolto dal compagno Vittorio Moioli prima e dopo le dimissioni dal partito comunista. Penso anche al Comitato Vietnam a Bergamo, che ha visto come protagonisti tessitori Eliseo Milani e Vittorio Moioli, e a cui hanno aderito partiti, sindacati e personaggi della cultura bergamasca, come Padre Turoldo».

Ciao Vittorio, per noi non c’è la consolazione di un dopo e questi giorni feroci, a Bergamo, tolgono dignità e rispetto alla morte, sicuramente privano chi resta della cura affettuosa ai propri cari che se ne vanno e di un ultimo saluto, stringendosi insieme al loro funerale. «Ci sarà tempo, dopo», ha detto Liliana, la tua forte compagna, stamattina. Ti abbiamo ricordato e abbiamo avvertito i compagni, chiusi dal Covid-19 nelle loro case.

Ora siamo tutti qui: a Liliana e Rossana, a Nadia e Riccardo e a tutti i tuoi un abbraccio forte dai tuoi compagni di sempre.

Un caro saluto e un abbraccio a distanza, ma non meno affettuoso, dal collettivo redazionale de “il manifesto”