Ancora sangue, in Libia. Un’autobomba ha preso di mira una villa a Bengasi in cui si trovava il generale golpista Khalifa Haftar (nella foto reuters) insieme ai suoi seguaci. E un rappresentante svizzero del Comitato internazionale della Croce rossa è stato ammazzato a Sirte da un gruppo di uomini armati. Dirigeva l’ufficio della Cicr a Misurata, dove imperversano importanti milizie come «Lo scudo della Libia», la più diffusa su tutto il territorio, anche a Bengasi. «Un attentato suicida con un’autobomba è stato perpetrato contro una villa in cui eravamo riuniti. Tre soldati sono stati uccisi», ha dichiarato il generale Saqr al-Jeroshi, che ostenta il carico di «capo delle operazioni delle forze aeree» fedeli a Haftar. Quest’ultimo – ha precisato Jeroshi – non ha riportato ferite, mentre lui è rimasto «leggermente ferito». La villa si trova nei pressi di Bengasi bastione di numerose milizie islamiche che si contendono il potere con le armi.
Il generale Haftar – un tempo al comando di Gheddafi, poi per lunghi anni uomo della Cia – ha giurato di farla finita coi «gruppi terroristi». Dal 16 maggio ha sferrato a Bengasi un’offensiva denominata Dignità. «Un traditore nemico dell’islam da eliminare», ha scritto domenica scorsa al-Qaeda del Maghreb islamico (Aqmi) sui siti fondamentalisti. Ansar al-Sharia – gruppo classificato come «organizzazione terrorista» dagli Usa – dal canto suo ha pronosticato al generale la stessa sorte toccata a Gheddafi, a capo del paese per oltre 40 anni e poi linciato a Sirte nel 2011, dopo otto mesi di conflitto coi ribelli: ovvero con la Nato, decisa a portare «la democrazia» a suon di bombe. E se mai è esistita un’istanza autonoma, guidata da una spinta autentica verso l’alternativa, è stata anch’essa stritolata da quell’intervento, che aveva sollecitato. Dal vaso di Pandora sono sbucati i demoni che erano stati contenuti. Questione sociale e questione coloniale sono tornate al grado zero. A contendersi un paese a brandelli, vi sono solo milizie tribali e bande, progetti islamici variamente modulati e istanze collegate alle grandi potenze internazionali, ormai preoccupate per la perdita di controllo del petrolio. A Tripoli sono arrivati i rappresentanti di Usa, Gran Bretagna, Francia, Germania, Spagna, Ue e Italia. «La Libia è a un bivio, la comunità internazionale si mobiliti», ha dichiarato la ministra degli Esteri Mogherini. E di Libia si discute al G7 di Bruxelles. L’autobomba di Bengasi è il primo attacco contro Haftar, anche se lunedì è stata la giornata più sanguinosa dall’inizio dell’«operazione Dignità». Gli scontri tra islamisti radicali e forze del generale hanno provocato 30 morti, fra cui 11 militari, e circa 120 feriti. «Ha emesso più comunicati che proiettili», ironizzano gli islamisti mentre Haftar – che non convince tutti i suoi alleati – afferma di aver inflitto colpi duri ai gruppi fondamentalisti e di controllare «l’80% di Bengasi».
E a Tripoli, la crisi politica si approfondisce. Due governi si contendono la legittimità dellatransizione, dopo la contestata elezione al Parlamento di Ahmed Maiteeq. Malgrado il rifiuto del governo uscente di Abdallah al-Thani, il premier – 42 anni, uomo d’affari gradito agli islamisti della Fratellanza musulmana e alle milizie di Misurata – ha assunto l’incarico, protetto da miliziani armati. Contro la sua nomina pende un ricorso per irregolarità presentato da alcuni deputati e dal precedente premier alla Corte suprema.