Solo un braccio di mare divide Omeath e Warrenpoint. Da un lato la Repubblica d’Irlanda, dall’altro il Nord, ultima colonia d’Europa. A separarle un confine invisibile, liquido. A Warrenpoint, il 27 agosto del 1979 la Brigada di South Armagh dell’Ira uccise diciotto soldati inglesi. Fu la più grande perdita per l’esercito Britannico.

ARMAGH È UNA CONTEA DIVISA. A sud una roccaforte repubblicana, e man mano che si procede verso nord diviene un feudo lealista. Nel cuore della cittadina vive Monsignor Raymond Murray, tra i più importanti testimoni, in quanto cappellano del carcere femminile di Armagh, degli abusi perpetrati dalle forze occupanti. Ora ha più di 80 anni, e uno strano sorriso gli riga il volto quando ricorda che «gli inglesi non sono riusciti a sconfiggere l’Ira».

Procedendo verso Belfast si arriva a Portadown dove, nei pressi della chiesetta di Drumcree, la cui torre sfoggia due grandi bandiere britanniche, le parate orangiste a cui in tempi più bui era consentito di scendere lungo la cattolica Garvaghy road, sono costrette a fermarsi. Ma percorrendola al contrario, si nota la differenza tra le case di una rispettabile borghesia protestante vicine al centro, e un vero ghetto di diseredati. Diseredati, ma felici, con bambini giocano per strada accanto ai tricolori irlandesi. Scene di gioiosa normalità che non si vedono spesso nei quartieri protestanti.

PROSEGUIAMO VERSO NORD, e nei pressi di Lisburn si avvista il fumo dei primi falò, appiccati tradizionalmente per celebrare l’accensione di fuochi sulle sponde del Belfast Lough quando, l’11 luglio 1690, bisognava consentire alle navi di Guglielmo d’Orange di approdare a Carrickfergus. Il 12 luglio, ricorre invece la battaglia del Boyne in cui le truppe cattoliche di Giacomo II vennero sconfitte, e nel Nord è ricordata dalle parate orangiste. La notte dell’11, nel cuore di Belfast della lealista Sandy Row, si erge una pila di cassette di legno alta quasi venti metri, circondata da gente che beve e ascolta musica tecno. Ogni tanto partono cori da stadio a sfondo razzista. Il rogo verrà acceso a mezzanotte. Ci spostiamo verso, Shankill road, altro feudo orangista, adiacente alla nazionalista e repubblicana Falls Road dove ha la sede principale lo Sinn Féin.

A SHANKILL roghi occasionali sono già in fiamme, e nelle narici si sente un forte odore di copertoni bruciati. Nei loro pressi, teenager cantano e ballano sotto l’effetto di droghe e alcool. Qualcuno orina su un muro. Famiglie coi bambini ascoltano un cantante di karaoke, per la cui performance è stata addirittura chiusa la strada al traffico.

I murales di Shankill e i muri della memoria sono diversi da quelli a cui ci abituano le aree nazionaliste. Vi campeggiano improbabili paralleli tra l’Isis e l’Ira, e si attribuisce, in barba alla storia, la colpa di gravi stragi – prima tra tutte quella di Omagh, compiuta dalla Real Ira nel 1998 – alla coppia Ira/Sinn Séin. Vicino a Shankill c’è la lealista Tiger Bay in cui altri falò spontanei e non concordati minacciano da vicino gli alberi di un parco.
La presenza della polizia non scoraggia nessuno. Adulti e bambini accettano il tutto come se fosse normale.

ARRIVA LA NOTTE, e viene appiccato l’immenso falò di Sandy Row. Gente sempre più ubriaca e in preda a chissà cosa beve per strada. I negozi e i pub del centro sono tutti chiusi per paura di disordini. Gli alcolici si possono acquistare direttamente dalle abitazioni della zona o da bancarelle improvvisate. Insieme alle assi di legno bruciano bandiere irlandesi, quella dell’Isis, e in alto una bandiera europea che troneggia sulle effigi e i manifesti elettorali di politici di Sinn Féin. Il tutto arde tra le grida esultanti e le canzoni razziste dei presenti. Qualcuno grida: «fuck the Pope». Un rumore strano, e poi il gigantesco falò crolla su un lato. Gente fugge via.

Arrivano i pompieri per controllare la situazione. Si saprà il giorno dopo di vetri di case spaccati dal calore delle fiamme, di porte bruciate. La polizia farà sapere che solo per miracolo non ci sono state vittime.

Nel frattempo, viene reso noto che l’inquinamento dell’aria ha doppiato il livello di normalità. Quest’anno i falò dell’11 luglio hanno visto un incremento del 50% degli interventi dei vigili del fuoco. Si respira un clima di totale illegalità, e i vigili stessi, dopo aver svolto il loro lavoro, vengono attaccati da energumeni appartenenti a formazioni lealiste. Su uno dei roghi nella periferia di Belfast bruciava una bara con sopra un nome, Martin McGuinness, il leader storico dell’Ira e principale negoziatore del processo di pace, scomparso il 21 marzo scorso. Accompagna la notte il rumore di elicotteri che sorvegliano dall’alto, con potenti fari, le zone di Belfast Ovest dove brucia il grosso dei roghi non autorizzati.

TRA I TANTI, la segnalazione di un enorme falò allestito a due passi da una Stazione di servizio. Cala la notte. La mattina del 12 un’enorme parata di bande musicali accompagnate dai rappresentanti delle logge orangiste sfilano per Belfast, tra un cordone di persone sfoggianti bandiere britanniche. L’odore di bruciato è ancora nell’aria, ma l’atmosfera è meno tesa, quasi festante.

Pare che l’accordo tra il Dup e i conservatori inglesi abbia forzato i lealisti a mantenere un comportamento corretto durante la parata. La sfilata supera senza resistenze o scontri la chiesa cattolica di St Patrick’s a Donegal Street, e passa per la parte nazionalista di Ardoyne senza clamori. Un cambiamento rispetto agli anni passati. Ora il rispetto è di facciata e si contrappone alle le scene barbariche della notte precedente.

Secondo il vicedirettore del Sunday World, Richard Sullivan, «a fronte di una escalation nelle manifestazioni di settarismo della notte dell’11, è evidente che il supporto all’intransigenza orangista si stia ridimensionando». Questo a dispetto dell’esistenza di «uno zoccolo duro all’interno del lealismo, che mai accetterà l’idea di un’Irlanda unita». Ma poi ammette, «nessuno sa davvero cosa accadrà nel dopo Brexit».

LA TERRA DEI FUOCHI in cui si trasforma l’Irlanda una notte all’anno rimane, con le sue espressioni di odio, un monito per gli scenari futuri e per il fantasma del ritorno di un confine molto più visibile di quello liquido che al momento abbiamo davanti agli occhi.