La notizia è arrivata, lunedì, mentre era in corso la commemorazione di uno dei fondatori di Syriza, Yannis Banias. Alexis Tsipras aveva appena finito il suo discorso, parole commosse, perché Yannis fu decisivo nella scelta di affidare a lui, prima leader degli studenti medi di Atene, poi giovanissimo consigliere comunale della città, il compito di rappresentare il cambio generazionale alla testa della nuova formazione politica.

Io – invitata a partecipare alla cerimonia perché Jannis è stato per decenni un grande amico del Pdup e assieme abbiamo fatto tante cose, e condiviso molte opinioni, da quando era segretario del Partito comunista (dell’interno), poi a capo della sua inevitabile scissione e fondatore di Akoa, il bizzarro ma felicemente esplicito nome che aveva deciso di dare al suo gruppo: «Innovazione ecologica comunista» (che è stato poi uno dei motori delle successive unificazioni della sinistra greca, prima Synapsismos, poi, per l’appunto, Syriza) – stavo pronunciando il mio intervento. Mi sono interrotta perché qualcuno è venuto a dire ad Alexis qualcosa all’orecchio, e il messaggio è stato subito reso pubblico: il governo aveva appena deciso di anticipare l’elezione del presidente della Repubblica.

Subito il teatro recentemente ricavato da una fabbrica di gas in disarmo – più di un migliaio di compagni giovani e vecchi, stipatissimi- è esploso in una manifestazione di giubilo. Io, poiché tutto era stato detto in greco, ero la sola a non aver capito cosa era accaduto. Poi Alexis mi ha spiegato: andiamo al voto fra un mese. Perché questo è il significato dell’anticipazione, non disponendo la maggioranza governativa dei 180 voti necessari ad eleggere il presidente ed essendo dunque necessario sciogliere le Camere. Ne ha sicuri solo 152, perché buona parte dei 24 deputati che nel frattempo sono usciti dalla coalizione, molti del Pasok, non voteranno il candidato proposto. Non per la persona, ma perché anche loro, oramai, vogliono le elezioni.

Per Syriza è una vittoria. E lo è per il paese: se vince la sinistra la situazione sarà tutt’altro che facile, ma verrà interrotta la politica che ha portato a questa che qui viene chiamata “catastrofe umanitaria”. Del resto la decisione del primo ministro Samaras è il segno che anche per il governo di destra quanto chiede la troika è diventato troppo e che la sua politica è stata un fallimento.

La sera, durante la grande cena collettiva (in tempi di austerità ognuno aveva portato un piatto) organizzata nella sala della redazione di Epochi (il giornale che assai spesso ripubblica articoli de il manifesto) l’entusiasmo e l’eccitazione per la sfida imminente era al cielo. E così l’indomani nella sede di Syriza, un edificio che porta i segni del difficile percorso che ha portato alla creazione del nuovo partito: perché, prima d’ora, è stata la sede del Partito comunista dell’interno, poi di Synapsismos.

I compagni sono ottimisti. I sondaggi sono positivi. Le mobilitazioni popolari continuano ad essere incoraggianti, anche se qui i sindacati non ne sono i principali protagonisti, perché la loro rappresentanza è circoscritta ai dipendenti pubblici, poco il settore privato; e anche qui dilaga il precariato. Gli studenti scendono in strada ad ogni occasione, anche se spesso con gli eccessi del neo anarchismo che anche in Grecia conquista una parte della nuova generazione.
I timori comunque non sono per il voto, Syriza è convinta della propria popolarità, di cui ha del resto continue riprove. Frutto dell’immagine unitaria che la sinistra qui è riuscita a dare, che ha ricreato non solo un partito, ma soprattutto una comunità solidale, senza cui nessuna formazione politica riesce ad essere forte. E poi Syriza ha messo radici sul territorio fornendo supplenza là dove lo stato ha ormai tagliato: centri medici, farmaceutici, mense. Lavoro volontario: potremmo chiamarle il ritorno alla vecchia tradizione del movimento operaio – società di mutuo soccorso – oppure, per usare parole gramsciane, riappropriazione di pezzi di gestione statale. Comunque una esperienza straordinaria.

Discutendo con i compagni si avverte tuttavia la preoccupazione del dopo, anche, anzi soprattutto in caso di vittoria, la partita sarà dura. Ne sono tutti consapevoli. E del resto è bastato leggere i giornali del mondo intero l’indomani dell’annuncio: caduta delle borse, terrore seminato ovunque, bugie da vergognarsi, ivi compresi sui più rispettabili quotidiani italiani. Che dipingono Tsipras come chi vorrebbe distruggere l’Europa e uscire dall’euro, attribuendogli cose che non ha mai detto, perché sembra che nessuno si documenti più prima di scrivere.

La paura non è in realtà per l’Europa, è per il peso che una vittoria della sinistra in Grecia potrebbe avere nell’indurre una svolta nella linea fin qui dettata dai potentati europei. Il tentativo è isolare Syriza, come gli appestati. Col rischio che si ricorra a tutto. Anche alle provocazioni. Se muore, come è probabile, il ragazzo anarchico incarcerato per furto che sta praticando da un mese lo sciopero della fame per ottenere il diritto di seguire i corsi universitari anche se in galera, la capitale potrebbe conoscere una protesta incontenibile e la strategia della tensione potrebbe esser fomentata.
Syriza è isolata nell’Europa degli attuali governi. Con insistenza tutti mi chiedono se penso che Renzi potrebbe esser indotto a formare un blocco dei pesi mediterranei per trattare con più forza con la troika, un’ipotesi non peregrina vista la forza che in Spagna, ma anche in Portogallo, sta acquistando la sinistra. Ho avuto imbarazzo a rispondere, quasi che portassi la responsabilità del nostro governo.

Comunque: davanti ai tanti compagni assiepati nel teatro per la commemorazione di Yannis Banas, tanti amici da mezzo secolo, mi sono sentita felice. «E’ la prima volta in mezzo secolo, da quando così spesso sono venuta qui per i vostri congressi o manifestazioni o elezioni o colpi di stato – gli ho detto -che invece di trovare una sinistra minacciata, incarcerata, frantumata, comunque in difficoltà, trovo una sinistra vittoriosa». E scherzando ho aggiunto: «Tant’è vero che prima molti usavano andare a Mosca per prendere la linea, ora veniamo ad Atene». Dove, ne siamo certi, è migliore.