Giuristi, economisti, religiosi, analisti internazionali. Due giornate di intenso confronto per ricordare i 40 anni dalla Dichiarazione universale dei diritti dei popoli (il cui testo è ora pubblicato da Nottetempo), organizzate a Roma dalla Fondazione Lelio e Lisli Basso Issoco.

La Conferenza di Algeri, promossa dalla Fondazione Lelio Basso per il diritto dei popoli insieme alla Lega internazionale per i diritti e la liberazione dei popoli, nacque dalla collaborazione di giuristi economisti e personalità politiche, sia dei paesi industrializzati che del Sud del Mondo, da un gran numero di rappresentanti dei movimenti per la liberazione dei popoli, da numerose organizzazioni non governative.
Algeri era allora un punto di riferimento strategico per i paesi non allineati, «capitale di una nazione che aveva duramente lottato per affrancarsi dalla dominazione coloniale, in un continente che contava molti paesi in lotta per l’indipendenza politica ed economica».

La Dichiarazione restituisce il clima del grande Novecento, concludendo così il Preambolo: «Che tutti coloro che nel mondo conducono a volte con le armi in pugno, la grande lotta per la libertà di tutti i popoli trovino in questa dichiarazione la conferma della legittimità della loro lotta».
Ha ancora senso ribadire quei principi in un mondo infranto e balcanizzato in cui i diritti elementari vengono annichiliti proprio dalla retorica sui diritti imposta da chi li calpesta? Diversi interventi hanno preso di petto la questione.

L’economista indiana Mary E. John ha parlato dei diritti di genere, della negazione del salario vitale come violenza e delle trappole in cui vengono attirate le donne per asservirle al profitto.

Una di queste – ha detto – è costituita dal microcredito, un massiccio programma rivolto alle donne dei settori popolari che è servito ad aumentare la concorrenza e non i diritti universali.

Ma l’idea forte del convegno – ha sottolineato Elena Paciotti, presidente della Fondazione Basso, è quella di «rinnovare il legame tra i diritti delle persone e quelle dei popoli, anche quando essi confliggono con gli Stati, che non devono avere il predominio della forza». Un concetto articolato dal giurista Luigi Ferrajoli, che ha declinato la nozione di «popolo» nell’era della globalizzazione «La vera novità rispetto a 40 anni fa – ha detto – è che le ingerenze esterne a tal punto invadenti da essere in grado di imporre la demolizione delle garanzie dei diritti sociali e dei diritti dei lavoratori, sono soprattutto quelle esercitate da quei sovrani globali, invisibili e selvaggi, che sono i poteri economici e finanziari globali». Una «violenza anonima che si manifesta nella crescita esponenziale della disuguaglianza e della povertà».

Diritti negati anche per «omissione di soccorso» – ha suggerito dal pubblico Vera Pegna, ricordando la Palestina sotto occupazione, per cui nessun organismo internazionale ha ritenuto opportuno intervenire.

Pegna ha poi raccontato un incontro internazionale a cui ha partecipato come traduttrice, subito dopo la caduta dell’Unione sovietica. I produttori di armi, preoccupati per il cambiamento intervenuto, avevano chiesto consiglio a Henry Kissinger su come proteggere i propri affari.

E la risposta fu: «Non vi preoccupate, i conflitti regionali sono facili da fomentare». Oggi, ha ricordato Pegna, «quei conflitti sono più di 1500».